La sensazione che si prova a guardare le opere di Ilaria Del Monte è quella di trovarsi di fronte a qualcosa di sovrannaturale, di essere cioè spettatori di fenomeni inspiegabili colti esattamente in quell’attimo culminante in cui la realtà si trasforma, rimanendo come sospesa tra ciò che razionalmente era e ciò che irrazionalmente è. L’atmosfera ricorda assai da vicino quella cristallizzata in certe vaste collezioni di ex voto dove il sacro irrompe nella quotidianità, bloccando l’immagine nell’incipit del fenomeno e lasciando spiazzato lo spettatore allo stesso modo di come spiazzato ne era rimasto il protagonista-donatore. Ma se la posa di certe figure aleggiantemente protese o in statuaria immobilità può richiamare quelle di santi e di madonne taumaturgici, il “miracolo” presente in queste opere è tutto naturale, terreno, umano, ma di una umanità che è psiche prima ancora di essere corpo. E nel contempo il linguaggio della Del Monte, similmente spontaneo, si potrebbe definire spontaneamente colto, tanto è ricco di echi compositi di molta della migliore tradizione pittorica italiana e non solo, tutti assimilati e rielaborati fino a diventare parola nuova nel suo vocabolario. C’è un che di rinascimentale in certe sue ambientazioni, un’aria di corte nella minuziosa raffinatezza dei decori, velature giorgionesche nei suoi azzurri, reminiscenze tardoquattrocentesche nella morbida e diafana bellezza delle sue figure femminili, un gusto naturalistico evidente nel racconto del mondo botanico e animale che, per certi aspetti, sembra evidenziare anche una inclinazione allegorica recuperata dagli erbari e dai bestiari medioevali. La regalità degli ambienti, l’impassibilità di certi sguardi e pose sono però tutt’altro rispetto al nobile equilibrio della classicità, perché la Del Monte, e in questo è l’autentica forza della sua cifra, è donna contemporanea che narra il suo tempo e nasconde nel suo mondo, apparentemente incantato e fiabesco, il senso dell’angoscia, della precarietà, il sogno proiettato e spesso tradito dell’umanità di questo secolo. Le sue donne di seducente limpidezza, che siano fanciulle o solo bambine, sono creature pensose, impegnate a cogliere oltre la scena che le circonda un lontano senso di assoluto su cui restano assorte, imperturbabili. C’è come una serafica inquietudine nel loro essere immagini vive in stanze asfittiche di decadente eleganza, dove i parati si sfaldano o si avviluppano come calappi, dove le finestre sembrano quadri appesi, limiti di incomunicabilità più che passaggi verso un esterno che può essere soltanto contemplato. Così, quasi per contrasto, la scena si ingravida di elementi “estranei”, quasi proiezioni della mente, divagazioni generate in una luce selettiva da quel pensiero che sottrae la preda alla sua trappola. Sinuosi intrecci vegetali, raffigurazioni zoomorfe esotiche o consuete invadono lo spazio o sbucano, seminascoste protagoniste, in qualche angolo senza senso apparente. Eppure, nella loro incredibile presenza, sono creature rassicuranti, immagini spirituali e sciamaniche che si uniscono ai tanti altri elementi simbolici, talvolta persino biblici, nel dare concretezza ad una rappresentazione che va oltre la figura per arrivare ad una anagogia dell’immanenza.
Anna R. G. Rivelli
Ilaria Del Monte nasce a Taranto nel 1985 e cresce a Montescaglioso, un paese a pochi chilometri da Matera. Sin da piccola dimostra particolare entusiasmo per il disegno e la musica. All’età di undici anni entra nel Conservatorio di Musica di Matera dove studia pianoforte fino all’età di 16 anni, dopodiché, frequentando il Liceo Artistico, decide di dedicarsi a disegno e pittura ad olio. Successivamente si trasferisce a Milano, dove si diploma in Arti Visive presso l’Accademia di Belle Arti di Brera. Dal 2010 ha partecipato a numerose mostre collettive e personali. Nel 2011 si tiene a Venezia la sua prima mostra personale di soli disegni e un dipinto ad olio dal titolo Vento dal Nulla e viene selezionata tra i finalisti del Premio Arte Laguna a Venezia, segue un’altra personale, Window’s Tales, a Como, nella Galleria Roberta Lietti. Nel 2012, a Berlino, espone con Boarding Pass, una mostra personale di dipinti di piccole dimensioni. L’anno successivo, a Milano, Quando Teresa si Arrabbiò con Dio, una mostra curata da Martina Cavallarin e nel 2014, presso Antonio Colombo Arte Contemporanea a Milano, inaugura Out of This World. Nel 2015 sarà Varese a ospitare Sussurri, a cura di Alessandra Redaelli, nella Punto Sull’Arte Art Gallery. Nel 2017, sempre da Antonio Colombo a Milano si tiene You May Not Believe in Magic, e nel 2019 espone nella sua città di origine, Matera, con Spazio Vitale, una personale a cura di Ivan Quaroni. Ha esposto in mostre collettive all’estero, tra cui Russia, Corea, Belgio e Germania. Tra le mostre collettive e i premi ricordiamo il premio Credere la Luce, nel 2019, residenza presso il Museo d’Arte e dello Splendore di Giulianova, e il Premio- Residenza Marina di Ravenna, a Museo M.A.R di Ravenna; Ten Women’s Soul, alla Liquid Gallery di Capri; nel 2017 Un’Altra Realtà, a Castel dell’Ovo a Napoli; è presente alla 56° Biennale di Venezia con l’evento Italia Docet Laboratium.