“ Perché disegno i personaggi dei miei film? Perché prendo appunti grafici delle loro facce, dei nasi, dei baffi, delle cravatte, delle borsette, del modo di accavallare le gambe, delle persone che vengono a trovarmi in ufficio? “
Quella di Fellini per i disegni, più che una vera e propria passione, diventava esigenza. L’esigenza di tracciare sul foglio l’immaginifico, il divertente, la grettezza a cui spesso il mondo nella variegata diversità si espone. Molte volte sono i difetti a farci diventare unici, simpatici magari, oppure semplicemente stravaganti. Un nasone grosso, un baffetto mal curato o semplicemente un atteggiamento particolare diventano davvero la carta d’identità, perché forse è proprio nella semplicità che si svela la particolarità. Penso alla Gradisca, oppure alla Tabbacaia, e perché no allo stesso Casanova. Fellini senza dubbio alcuno incarna alla perfezione quel sincretismo culturale capace di spaziare e trascinare chiunque si avvicini alle sue opere nel suo mondo, fatto di semplicità simpatia ed esasperazione del reale. Sicuramente aveva ben impresso il ruolo del giullare nella corte, l’unico a potersi prendere gioco anche del re ,monito (per chiunque) del fatto che la risata sovverte il potere. La caricatura non è certo contemporanea come trovata, lo stesso Leonardo spesso si è dilettato nel ritrarre volti al limite del reale, acutizzati nelle loro imperfezioni ed esasperati nelle loro particolarità. All’arte fiamminga dobbiamo il vero impulso nel rappresentare i difetti fisici come trasposizioni del cuore, ad un cattivo la faccia da vecchio sdentato e ad un buono la faccia pacioccona, e se dovessimo venire più a noi forse i clown diventerebbero una delle figure tanto controverse quanto più legate al discorso della caricatura.
Non è un caso infatti che lo stesso Fellini si sia occupato dei clown, non come semplici fenomeni da baraccone, bensì come portatori di una verità spesso nascosta ma mai desueta, legata senz’altro al concetto di buono e cattivo nel mondo. “Questa è, dunque, la lotta tra il culto superbo della ragione (che giunge ad estetismo proposto con prepotenza) e l’istinto, la libertà dell’istinto. Il clown bianco e l’augusto sono la maestria e il bambino, la madre e il figlio monello; si potrebbe dire infine: l’angelo con la spada fiammeggiante e il peccatore.” Così Fellini descriveva i due clown protagonisti del film omonimo, nonché maschere storiche del circo. Anche l’idea del circo, di quell’eterno peregrinare per portare un sorriso, un momento di spensieratezza, perché si sa al circo si diventa tutti bambini. Lo diventò Picasso nel raffigurare i suoi Saltimbanchi, incui il mix fra serenità e desolazione cede il passo all’incerta felicità propria di chi viaggia. Lo hanno fatto in primis i viaggiatori, che nei loro tour in giro per l’Italia hanno lasciato vedute, spesso malinconiche ma senz’altro fotogrammi di una realtà che era e non più tornerà.
E penso anche a Canaletto, che delle sue vedute, o meno dei suoi scorci ha lasciato oltre che la palpabile bellezza anche quel sentimento misto fra curiosità e voyeurismo, che della riserbata Venezia ne traduce l’eclettico esibizionismo. Le maschere d’altronde altro non sono che tutto quello che avremmo voluto essere, lo sanno bene i veneziani, che proprio con le maschere hanno sedotto il mondo; e fosse pure che storicamente queste venivano utilizzate per sentirsi liberi, ossia rendersi irriconoscibili e quindi non poter essere riconosciuti fosse anche per un reato, il fascino del nascondimento passa anche attraverso l’idea di poter essere per un giorno quel che mai si potrebbe. Senza maschera lo fece Sordi, diventando per un giorno sindaco di Roma, e nelle sue maschere lo diventò Gasperino il Carbonaro; perché si sa a tutti è dato sognare quel che non si ha!
La Disney ben lo interpretò con Il Principe ed il Povero tratto dall’omonimo romanzo di Mark Twain; ma il gioco degli scambi, e il divertimento da esso derivato ha origini ben più antiche. Citerò I Menaechmi di Plauto, origine della commedia degli equivoci, a cui certo non potè sottrarsi la maschera storica di Totò. Il trasformismo, ma anche il solo acutizzare la semplicità d’ognuno ha generato, e continua inoltre, forse una delle migliori arti dei secoli; quella del ritratto: perché sia chiaro anche se nobili o reali, ciò non serve a far sorridere! Lo vediamo oggi con la satira e le caricature che ogni giorno ci vengono proposte sulle prime pagine di giornale; l’avremmo visto ieri magari guardando una stampa reale che ritraeva i potenti! Da Fellini ad oggi; dalla commedia, nata sotto il segno della rivoluzione sociale fra padrone e servo, dal semplice ritratto di corte ad un frame che ritrae il nostro più semplice desiderio; il trasformismo è anche questo; e forse non è un caso che solo indossando un buffo naso rosso ognuno di noi si sentirebbe divertente e chissà: giammai bambino!
Fabrizio Perrone