Articolo di Melanie Zefferino
Venezia festeggia i cinquecento anni dalla nascita di Jacopo Robusti, noto come il “Tintoretto”, (1519-1594) proponendo un percorso espositivo che si articola nella grande mostra a Palazzo Ducale, a cura di Robert Echols e Frederic Ilchman con la direzione scientifica di Gabriella Belli, e quella intitolata “Il giovane Tintoretto” alla Gallerie dell’Accademia. Entrambe le mostre confluiranno alla National Gallery di Washington. La città offre dunque una visione a tutto tondo sulla figura e la singolare produzione di un artista che fu allievo e poi “rivale” di Tiziano, il quale lo osteggiò a lungo per ragioni ancora non del tutto chiare.
Certo è invece che, per Tintoretto, ai successi del suo presente seguirono tempi di memoria quasi sopita, forse all’ombra dell’insuperabile Maestro originario di Pieve di Cadore. Fino a quando John Ruskin non riconobbe il talento e lo straordinario senso per il colore di quel pittore rinascimentale figlio di un tintore, come rivela il suo nome d’arte, e lo restituì agli onori della storia attraverso i suoi scritti più famosi. Come è noto, l’impatto che le opere di Tintoretto ebbero sull’autore lo indusse a volgere lo sguardo sulla città lagunare, la cui essenza seppe cogliere descrivendone le bellezze non soltanto con la penna, ma anche col pennello. Note sono le tavole a che illustrano The Stones of Venice, pubblicato fra il 1851 e il 1853, vale a dire dopo i due lunghi inverni trascorsi da Ruskin a Venezia nel 1849-50 e 1852. Alcune di esse, insieme ad altre opere ad acquerello, sono stati esposte nella primavera di quest’anno a Palazzo Ducale in una mostra affascinante, “Le pietre di Venezia” a cura di Anna Ottani.
NA destare in Ruskin un primevo interesse per la città lagunare parrebbe essere stato William Turner (1775-1851) con le sue Vedute veneziane, alcune delle quali si conservano alla Tate Gallery di Londra e alla National Gallery di New York. In seguito, il desiderio di meglio indagare l’anima di Venezia attraverso la sua architettura e la sua arte scaturì dallo scopriere l’opera di Tintoretto. Negli anni Settanta dell’Ottocento Ruskin tornò più volte a Venezia ma, in seguito al suo definitivo rientro in Inghilterra, dal 1877 circa al 1886 fu un giovane pittore veneziano, Angelo Alessandri (1854-1931), a tenere acceso in Ruskin il ricordo delle visioni dipinte da Tintoretto e altro ancora nella Serenissima di un tempo.
Nato a Venezia il 23 aprile 1854, Angelo Alessandri si formò alla Reale Accademia di Belle Arti in Venezia, dove si distinse vincendo premi in “elementi di figura”, “anatomia”, “composizione pittorica” e “invenzione storica in cartone”, come risulta dagli Atti dell’Istituto dal 1869 al 1872. L’incontro con John Ruskin avvenne agli inizi del 1877, dunque ben prima che l’artista divenisse docente presso quella stessa Accademia, nel 1884. A partire dal 1879 iniziò una a realizzare regolarmente copie dal vero di dipinti, affreschi, mosaici ed elementi architettonici, perlopiù di Venezia, ma occasionalmente anche di Verona (1884), Pisa, Firenze e Roma (1881), commissionategli da Ruskin, del quale era discepolo – così come gli italiani Giacomo Boni e Raffaele Carloforti oltre a diversi artisti inglesi. Da una lettera di Ruskin a Frank Randal del luglio 1881, si legge: “I’ve great satisfaction just now in three pupils – first, a quite blessed young soul of a Venetian, whom I’ve got well attached to me, and who is doing most lovely work on Tintoret and Carpaccio for me…” (cit. E.T. Cook e A. Wedderburn, The Works of John Ruskin, London, 1903, xxx, LXVIII).
Le copie dall’antico ad acquerello che Alessandri eseguì per lo scrittore e critico inglese erano destinati alla collezione della Guild of St. George da lui fondata nel 1871, ma anche a illustrare le sue pubblicazioni nell’ultimo quarto dell’Ottocento, ovvero Guide to the Principal Pictures in the Academy at Venice (1877), la guida storico-artistica St. Mark’s Rest (1877-1884) e Our Fathers Have Told Us (1885). In quegli anni Alessandri realizzò anche alcune copie di pitture di Tintoretto per la Aurndel Society (cfr. W.N. Johnson, Chromolitographs of the Arundel Society, Manchester, 1907, pp. 35 e 75). Altri lavori gli furono commissionati direttamente da conoscenti di Ruskin, in paticolare Mr. Conway, Mr. Kennedy, e Mr. Beaumont, così come risulta dal carteggio fra Ruskin e Alessandri studiato da Jeanne Clegg (John Ruskin’s Correspondence with Angelo Alessandri, The John Rylands University Library of Manchester, 1978). Vale inoltre la pena ricordare che Federico II di Prussia gli commissionò una copia del San Giorgio di Andrea Mantegna all’Accademia di Venezia, che però fu acquistato da Mrs. Warskhaver (suocera dell’amico pittore Ludwig Passim) in quanto ultimato dopo la sopravvenuta morte dell’imperatore.
Non a caso, dunque, si conserva un cospicuo numero di dipinti di Anagelo Alessandri nel Regno Unito, in parte censite da Jeanne Clegg nel 1978 e più recentemente venute in luce grazie agli archivi digitali di musei e istituti britannici: trentuno sono gli acquerelli nella Collection of the Guild of St. George dei Sheffield Museums, e altri trenta appartengono alla Ruskin Collection della University of Reading, fra cui due studi di opere di Sandro Botticellie e Pinturicchio nei Musei Vaticani. Nove sono presso le Ruskin Galleries di Bembrige nella Isle of Wight, cinque sono al Coniston Museum, due Vedute sul Gran Canal e un Interno di San Marco sono censiti in Brantwood, due lavori si conservano alla City of Birmingham Art Gallery, e due all’Ashmolean Museum di Oxford (WS.I.47-48), dove ulteriori due acquerelli sono in collezioni private. La maggior parte di queste opere sono copie di dipinti di Tintoretto e di altri autori veneziani del Rinascimento, in particolare Vittore Carpaccio ma anche Gentile e Giovanni Bellini, Jacobello del Fiore e Liberale da Verona. Ben più rare sono le vedute di Venezia (due a Bembridge, due a Brantwood, due a Sheffield e uno nella collezione Ruffini Valletti-Borgnini di cui si dirà in seguito). Eppure era stata la comune passione per la pittura di paesaggio, condivisa durante un breve soggiorno sul Lago Maggiore nel 1877, ad avviare l’amichevole seppure impari rapporto fra Ruskin, quale maestro e in seguito committente, e Alessandri quale discepolo,
John Ruskin aveva una alta opinione di Angelo Alessandri, al quale affidò il compito di copiare un “supremo pittore” del Rinascimento dal momento che, come affermò pubblicamente, “in his perfectly sympathetic and clear-sighted rendering of different painters, he stands alone among the artists I know” (cfr. Cook e Wedderburn…, cit., xxx, 177). Copiare perfettamente opere di grandi maestri quali Tintoretto e Carpaccio per un committente come Ruskin, il quale esigeva ‘the proper force and Frankness of Tintoret” – così come scrisse in una sua lettera del 14 agosto 1883 in riferimento alla copia del San Giorgio di Tintoretto lamentando l’eccessivo perfezionismo di Alessandri. Il perfezionismo, a discapito della spontaneità del tratto era stato lamentato anche per la figura di San Gerolamo dal Paradiso di Tintoretto, ma certo era arduo trovare sempre un il punto di equilibrio fra perfetta riproduzione e perfezionismo. Ciò che Ruskin ammirava in Alessandri e che lo rendeva il pittore ideale per riprodurre opere di Tintoretto, era lo straordinario senso del colore. A ciò si sommava la capacità tecnica di dipingere conferendo brillantezza al ai toni cromatici, come si legge in una lettera del 20 giugno 1889 (cfr. Clegg, cit.)
Alessandri traduceva dunque perfettamente nella pratica artistica i dettami di Ruskin sul colore, peraltro riassunti anni prima in una lettera indirizzata al giovane pittore veneziano e datata 24 aprile 1881: “Always think of the colour first, and when you’ve got it, stop… when you take the bursh – and dip it in a colour, remember always, its line is to be as good as care (by the way) and luck will make it; but its laid colour IS to be Right, – whatever goes wrong to save it” (cfr. Clegg, cit.). Alcuni mesi prima, in una lettera del 18 gennaio 1881, Ruskin aveva raccomandato ad Alessandri maggiore attenzione alla luce, resa in maniera incongrua in un dipinto di Murano. La critica costante e costruttiva che Alessandri seppe accogliere ne favorì certamente la maturazione artistica dal momento che presto Ruskin avrebbe rivelato a Frank Randal come Alessandri stesse riuscendo nel lavorare come Turner (cfr. Cook e Wedderburn…, cit. xxx, lxxxi).
Tutto ciò non significa che Angelo Alessandri si limitasse a eseguire copie dall’antico su commissione, né che John Ruskin apprezzasse dell’artista solo quei lavori, che considerava pregevoli “descrizioni” eseguite con dignità e lodevole spirito di sacrificio a fine divulgativo piuttosto che deprecabili copie realizzate a fine di lucro (cfr. Cook e Wedderburn…, cit., xxii, pp. 473-4). Del medesimo avviso era Alessandri, che nel suo saggio pubblicato postumo avrebbe scritto: “come in tutto, così pure nel copiare c’è modo e modo… Non trattasi già di gareggiare in bravura con l’autore…, bensì di ricavare profitto dall’a sua lezione. Se nella perdita quasi inevitabile di qualche qualità, otterremo salvo il colore, molto sarà guadagnato. La copia dall’antico, alternata con discernimento a quella dal naturale, verranno l’una all’altra in aiuto… Chi scrive deve a questa applicazione le sue ore migliori” (“Venezia e i suoi pittori. Pensieri”, Rivista di Venezia, Dicembre 1931, pp. 5-20).
Fin dai suoi esordi Angelo Alessandri aveva un proprio stile poetico e colorito nel senso antico del termine, con cui esprimeva una sensibilità particolare attraverso la sua tecnica raffinata, prevalentemente usando l’acquerello come medium. Dipinse soggetti ispirati alle commedie di Carlo Goldoni e vedute di Venezia assai belle, tanto che Ruskin ne acquistò diverse – fra cui due opere giovanili del 1877, Ingresso a una calle in Lista Vecchia dei Barri a Venezia e Veduta sul Ponte dei Servi e Campanile di Santa Fosca a Venezia, entrambe nella collezione dei Sheffield Museums (figg. 2 e 3). Queste vedute di Venezia rivelano anche l’amore dell’artista per la sua città, dove visse nel sestiere di San Marco al n. 1294. In una Venezia spogliata di molti suoi tesori e minacciata da restauri scriteriati come quello avvenuto alla Ca’ d’oro prima che il conte Giorgio Franchetti vi ponesse in parte riparo, Alessandri, abbracciò la contrarietà di Ruskin al restauro degli edifici in Venezia, supportata pure Giacomo Boni ed Elio Zorzi con l’appoggio di Henry Wallis, William Morris, John Wharlton Bunney e altri ancora.
Non stupisce allora, nell’opera di Angelo Alessandri, trovare l’immagine incantevole degli originali Cavalli di San Marco visti dalla loggia della basilica di San Marco e dipinti ad acquerello su carta in un lavoro sinora inedito. L’opera in questione, oggi in collezione privata, è firmata e datata 1915, cioè quando l’autore stava per assistere allo scoppio della prima guerra mondiale dopo aver perduto, il 10 aprile 1914, Laura Szcrepkowski, sua sposa dal 13 aprile 1877, dalla quale ebbe due figlie. Una iscrizione sul retro della cornice del dipinto reca la memoria dell’ingresso di quest’opera in collezione nobiliare quando la Principessa Anna Maria de’ Ferrari (1874-1924) lo acquistò direttamente dall’artista, dopo averlo incontrato a Roma da Boni, per regalarlo al consorte, il Principe Scipione Borghese (1871-1927), con l’augurio di tornare presto a Venezia, dove avevano palazzo.
Paragonato agli acquerelli giovanili (figg. 2-3) di Angelo Alessandri, questo lavoro mostra la maturità di un artista che aveva ormai raggiunto la perfezione nel coniugare un gioco originale di cromie alla resa minuziosa dei dettagli architettonici entro una composizione di grande suggestione e intensità evocativa. Alla valenza squisitamente estetica della pittura tonale si coniuga il senso del colore e la sensibilità per le bellezze di Venezia che questo artista certamente aveva per nascita, sensibilità e formazione. La vitalità dei piccioni, dipinti con maestria e leggerezza, dialoga con il dinamismo dei cavalli bronzei dal colore cangiante, che nel loro splendore di toni dorati e ocra esaltati dal verdigris paiono magici. Il contrasto con i toni violetto in una atmosfera impalpabile, dal sapore fiabesco, dipinta con una resa efficace della luce al mattino, potrebbe far pensare ad alcuni acquerelli di Charles Fairfax Murray, che l’autore incontrò a Firenze nel 1881. Come non ricordare, tuttavia, le parole di John Ruskin riferendosi ai Cavalli di San Marco, ovvero “Venice’s Greek Horses, seen blazing in their breadth of golden strength”. Evidente a tutti gli effetti, in questo magnifico acquerello, è l’influenza esercitata da Ruskin su Alessandri anni addietro, sia in termini di uso del colore che di giusta misura nella rappresentazione degli elementi scultorei e architettonici conferendo visivamente agli stessi l’allure del luogo in cui sono ritratti con estro artistico.
Poco dopo la fine della seconda guerra mondiale, l’ascesa della parabola pittorica di Angelo Alessandri sarebbe ripresa alla Biennale di Venezia. L’artista partecipò alle edizioni del 1922 e 1924 con alcune pitture, incluso un ritratto. Nel 1932 i suoi acquerelli furono esposti nella mostra storica “Trent’anni d’Arte Veneziana, 1870-1900” curata dai commissari Italico Brass, Domenico Varagnolo, ed Elio Zorzi. Da allora l’opera di questo maestro pittore dell’Accademia di Belle Arti di Venezia stimato da John Ruskin è rimasto nell’oblio, in attesa che ad Angelo Alessandri si renda presto, nella sua città natale, l’onore meritatamente conseguito in Inghilterra presso i musei che ivi conservano i suoi acquerelli.