Pare ancestrale la corteccia che ricopre il bello, sembra posarsi effimera e caduca sui corpi per poi filtrare addolcita in essi, e riemergere più ruvida, affinché possa proteggere la materia e lo spirito pronti a rivelarsi al mondo.
Troppe volte però il sopravvento è preso dall’estetica meravigliata e meravigliante, che pure sembra essere lo scudo e la custode vera dell’essenza.
Tanto per smettere di arrampicarci dietro termini che poi altro non fanno che deviare i concetti neppure tanto chiari “di per loro”, il punto è questo: il bello in sé non si trova mai nella superficie delle cose, bensì oltre il contenitore. L’arte, la cui grazia iniziale e il cui vero rischio sta proprio nella percezione primaria che di essa si ha, mentre si ricade nel giudizio di gusto, racchiude il suo strictosensu, il suo più profondo significato, ben oltre ciò che appare.
Si comporta e si muove nel mondo contemporaneo un po’ come una donna: ancheggia, si tocca i capelli, indossa tacchi a spillo, rossetto e pelliccia: pare un incanto ma la vera magia non è quella.
Bene, la ricerca artistica della scultrice brasiliana Louise Manzon si riassume e si condensa, spasmodica, nel fermo STOP alle principesse vestite da principesse.
Se la corteccia che ricopre loro l’essenza è una protezione verso gli occhi indiscreti ed impuri del mondo, che protezione resti e che tale sembri.
Allora le sue donne sono guerriere, corazzate, ma regali per il portamento, per la raffinatezza, per l’anima che filtra dalle loro vesti di fili di ferro e ruggini, vestite, come afferma Luca Beatrice “da quei flutti che tutto inghiottono e rigettano”.
Le donne di Louise Manzon potrebbero dare l’idea di essere prigioniere di quella sorta di armatura che le abbiglia seppur mai le soffochi. Ma ancora una volta dedurre il contrario dell’apparenza significa arrivare all’essenza.
Non è armatura né corazza quella che ricopre l’arte della scultrice: ella raffigura solo e soltanto la donna vera, quella che non ha bisogno di protezione perché non è inferiore, quella che vive nell’Aion, nel tempo oltre il tempo, nella suggestione ellenistica dell’eternità, colei che, pronta a racchiudere il principio creatore dell’universo, paladina della trascendenza e dell’assoluto, vive di immaterialità seppur la sua corteccia sia materia.
Circa trenta saranno le sculture della Mazon a raccontare la Resilienza a Matera, capitale europea della cultura 2019. Il loro messaggio, oltre a quello sociale e solidale dell’ecosostenibilità, (le figure femminili sono infatti costruite e ricoperte di materiali di scarto, andando a costituire veri e propri esempi di sculture d’arte povera) quello meno comune del senso del bello oltre il tempo.
In fondo è un po’ questo l’obsistenza: il preservare ciò che “è” contro ogni fittizio, contro tutti gli abbellimenti, i fronzoli, la finta dolcezza che ricade angusta, nella smanceria.
Non sono fanciulle e basta le sue: sono Regine. Ma se oltre il tempo vive l’essere umano universale, quelle di Louise Mazon sono i racconti scolpiti del bello in sé, del bello che si spinge e dilaga ben oltre Kronos e Kairos.
Ebbene, dopo aver fatto nostra la sua arte, potremmo assurgere alla presunzione consapevole di un massimo concetto, ad una sorta di presa di coscienza fondamentale e per nulla patetica: l’Aion è donna.
Merisabell Calitri
durante un recente viaggio a Matera ho avuto l’0pportunità di visitare la mostra Aion nei Sassi.
E’ stata una visita molto appassionante e coinvolgente. L’argomento migrazioni trattato con grande umanità per come visto da parte delle donne, che sono le prime a subire tutte le conseguenze del grande problema.
Ho meditato molto su quanto ho visto e capito, con tutti i miei limiti.
Desidero ringraziare l’artista e complimentarmi con lei.