Articolo di Luna Gubinelli estratto dalla rivista Sineresi n.4
Dal punto di visto artistico, l’aspetto più significativo che ha caratterizzato la revolutionary uprising nel mondo arabo e in particolare della primavera egiziana è stata la riappropriazione dello spazio pubblico come luogo in cui dare vita a forme di comunicazione e di confronto politico.
Rappresentazioni visive, musicali e poetiche hanno determinato la manifestazione di obsistenza al sistema repressivo e violento che ha sopraffatto per decenni intere generazioni. Le performance della vita in quei giorni erano imprevedibili e spontanee e gli artisti dei graffiti, nello specifico, invitavano i cittadini con dipinti, stencil e semplici scritte a partecipare attivamente al dibattito pubblico sulle possibilità del vivere insieme facendo rispettare i diritti sotto il potere schiacciante dell’autorità. La diffusione del messaggio umanitario e rivoluzionario poteva avere così vasto impatto sulle persone solo al di fuori dei luoghi istituzionali dell’arte, solo attraverso una partecipazione democratica all’arte che, si può dire, ha avuto pochi eguali al mondo.
Le immagini dei muri della libertà hanno fatto il giro del pianeta e oggi sono l’eredità visiva di quegli anni di resistenza propositiva che ancora oggi è presente in Egitto nonostante il nuovo regime di Al Sisi e le centinaia di morti e continue persecuzioni e torture. “Too much thinking… can kill you” recita uno dei graffiti di Sad Panda. Una testa piena di personaggi politici e sociali rappresenta la continua pressione a cui il popolo è sottoposto, allo stesso tempo è manifesto dello straordinario potere che le immagini hanno sulle persone, tanto da essere considerate come minaccia al sistema. È proprio da questa minaccia che ha origine la reazione del popolo. Non dobbiamo dimenticare che stiamo parlando di un’area geografica che ha una tradizione culturale e artistica lontana dalle rappresentazioni a cui siamo abituati in occidente. La tradizione calligrafica dell’arte islamica ha origine direttamente dal Corano; la parola, oltre ad essere estremamente decorativa nelle fattezze estetiche dello scritto, ha una sacralità che non può essere violata.
Questa consapevolezza ci porta a pensare al gruppo di bambini siriani di Daara che nel 2011 furono puniti con la reclusione per aver scarabocchiato sul muro della scuola frasi anti-regime, episodio che fece rinascere “la scintilla che ha acceso la amma”. Allo stesso modo riusciamo a capire il perché molte delle ‘opere’ provocatorie e iconiche dipinte sul Muro dei Martiri in Mohamed Mahmoud Street, vicino a piazza Tahrir, sono state cancellate dai militari della SCAF nel 2013 per poi essere costantemente ridipinte a costo dell’imprigionamento.
Tollerare il rifacimento o ridipingere a seguito della distruzione del lavoro è un aspetto comune nel graffitismo. Il messaggio viene divulgato e continuerà ad essere presente nella mente di chi lo ha osservato, riprodotto e rivisitato all’interno di questo conseguente gioco urbano. Nel contesto specifico egiziano, in cui i media sono stati corrotti e manipolati, e i social media controllati, dipingere e taggare su ciò che viene distrutto diventa un modo per continuare a comunicare per garantire un dialogo infinito tra i muri che sono persone. Anche in questo caso dobbiamo però fare attenzione.
I media internazionali hanno da subito collocato i graffiti come strumento della emancipazione rivoluzionaria, ma quale è stata la reazione della popolazione meno avvezza al linguaggio artistico?
L’artista Ganzeer venne verbalmente insultato e in ne arrestato su segnalazione dei civili per aver distribuito volantini e stickers anti-esercito. “Il mio arresto”, sottolineò l’artista, “è il risultato di un lungo periodo di mancanza di libertà di espressione da parte della società civile”. Maschera della libertà. Saluto del Consiglio supremo delle forze armate per l’amato popolo. Ora disponibile sul mercato per un tempo illimitato, è la frase che accompagna il mezzo busto di un uomo nudo con strumenti di tortura in bocca e sugli occhi, dotato di piccole ali ai lati della testa. Il linguaggio metaforico e commerciale imita il modo paternalistico di esprimersi dei militari, utilizzato sarcasticamente per prendere distanza critica dai metodi utilizzati dall’esercito. Non siamo molto lontani dalle tecniche di advertising di Wahrol.
Il sistema opera per mantenere le persone ad un livello culturale molto basso e sono queste stesse persone a considerare sovversivo un modesto gesto di protesta che ci porta, ancora una volta, alla complessità delle libertà di espressione e a quella dell’accesso agli spazi pubblici. Non siamo molto lontano dai paesi democratici.
Parafrasando Ammar Abo Bakr, graf taro di Luxor, ciò che caratterizza la rivoluzione non sono i partiti politici o le fazioni. La rivoluzione è la gente che conosce i propri diritti e opporsi con forza a coloro che fanno del tutto per farceli dimenticare. La rivoluzione è far avvicinare le persone, non nella forma di un partito ma creando qualcosa di nuovo e al di fuori della logica.
La storia di Bassem Mohsen Wardany sintetizza la rivoluzione egiziana e al contempo quella capacità di opposizione ferma e attiva. Bassem è stato un prodotto e una vittima della primavera araba. Il suo ritratto in Mahamed Mahmoud Street, al contrario di quello di altri martiri rappresentati come angeli, lo coglie durante una metamorfosi. Il suo volto ha le ali di una mosca, insetto che riflette la resilienza da rivoluzionario. Nel nuovo regno di Egitto (1550-1069 a.c.) la mosca era usata come decorazione militare per lodare il coraggio nelle battaglie, vista la sua capacità di persistenza di fronte a ogni tipo di opposizione. Il giovane combattente rap- presenta tutte le giovani “mosche” della rivoluzione perché, nonostante la loro fragilità, producono un fastidioso ronzio che si installa nella testa e sono difficili da uccidere…