articolo di Mimmo Cecere estratto dalla rivista Sineresi n. 2
La recente designazione di Matera “Capitale Europea della Cultura 2019” è un evento che non può riguardare la sola città dei Sassi. Il coinvolgimento di altri comuni della Basilicata, nelle manifestazioni che seguiranno, non è solo auspicabile ma necessario. Questo ambìto traguardo è un’opportunità straordinaria per far conoscere, in primo luogo alle stesse genti lucane, il ricco e misconosciuto patrimonio artistico regionale.
Realizzare una rete delle opere d’arte, presenti nei diversi comuni della regione, è il primo passo per la creazione d’itinerari turistici a tema. Due esempi: le opere dei pittori veneti in Lucania (Lazzaro Bastiani, Mantegna, Cima da Conegliano) e i Polittici di Simone da Firenze (Stigliano, Senise, Salandra, San Chirico Raparo, Maratea).
Per motivi a noi ignoti «in Lucania – scrive, negli anni ’70, A. Rizzi – si conservano opere di due pittori toscani la cui attività non è altrove documentata. Essi sono Bartolomeo da Pistoia, che lasciò il suo nome nel trittico della parrocchiale di Calciano del 1503, e Simone da Firenze» che, al contrario, ha lasciato numerose opere. Simone appartiene alla cerchia di artisti che, sconosciuti nei grandi centri d’arte, risultano presenti in località minori e periferiche; nel nostro caso in Lucania dove ha lasciato gran parte del suo corpus pittorico, al punto da legarsi artisticamente a questa terra.
Per quanto concerne il Polittico di Stigliano, è bene ricordare che dei quattordici dipinti che compongono l’opera solo quelli della cimasa sono attribuiti alla mano di Simone. Gli altri nove, al contrario, sono stati profondamente modificati da un pessimo restauro ottocentesco.
Ma chi è Simone da Firenze? Della sua vita, della bottega dove apprese il mestiere, o della sua presunta vocazione ministeriale ignoriamo tutto. Non sappiamo neppure i motivi o le circostanze che l’indussero ad abbandonare il capoluogo toscano, nei primi anni del Cinquecento, per raggiungere le isolate terre di Lucania. Simone è un artista dotato di uno stile personale dai rimandi tardo-quattrocenteschi, ed è il pittore rinascimentale più documentato in Lucania. Trattandosi di dipinti destinati a chiese annesse a conventi francescani, qualcuno ha ipotizzato che si trattasse di un frate, anche se non vi è alcuna testimonianza della sua vocazione ministeriale.
La parte più interessante del Polittico di Stigliano è la sua intelaiatura lignea. L’imponente cornice è, nel suo genere, la più monumentale della Basilicata. Priva della predella, che in origine doveva essere certamente presente, misura m. 5.45 di larghezza per m. 6.00 d’altezza. La pala è ripartita in due ordini, suddivisi in cinque registri verticali e 14 scomparti, conchiusi da una cimasa. All’esterno dei riquadri compaiono figure dipinte, sculture in altorilievo e a tutto tondo e decorazioni in oro. Al centro della serliana centrale – sormontata da due puttini reggi corona – si erge la statua della Madonna delle Grazie, il cui andamento sinuoso ed allungato fa riecheggiare reminiscenze tardo-gotiche. Ai due lati della fascia centrale, invece, emergono i tondi con le sculture ad alto rilievo dei quattro evangelisti. Al centro del fregio, un’iscrizione in oro, su fondo turchese, riporta la dedica ad Antonio Carafa e la data d’esecuzione del Polittico: 1521. Nel cartiglio, Antonio Carafa, è indicato come duca perché il titolo di Principe di Stigliano gli verrà conferito l’anno successivo.
Una parte degli studiosi che si sono occupati dell’intelaiatura lignea concordano nell’attribuire l’imponente cornice ad una bottega locale che, secondo il Naldi, era dislocata tra la Val Basento e la Val d’Agri. Il “Maestro del Polittico di Stigliano” – questo è il nome che è stato assegnato all’ignoto scultore del monumentale retablo – dà l’impressione di aver avuto contatti con l’ambiente culturale napoletano, come testimonia il coevo gruppo scultoreo della “Sant’Anna Metterza”, presente nella stessa Chiesa Madre. Stigliano nel Cinquecento non ha ancora assunto quella centralità politica e amministrativa che avrà nel Seicento. Tuttavia, essere stata la sede del feudo dei Carafa potrebbe aver favorito, in questo territorio, la presenza di un’importante bottega d’arte.
Il Polittico restò a lungo nella Chiesa della Madonna delle Grazie, annessa al Convento di Sant’Antonio di Padova dei Minori Osservanti. Nel 1842, a causa del pessimo stato dell’edificio, le autorità del tempo fecero trasferire l’opera nel coro della Chiesa Madre, dove ancora oggi è possibile ammirarla.