Artista versatile, ariete ascendente sagittario, il suo motto è ascendere anziché salire. Si nutre di allucinazioni compensative. Lavora principalmente di notte, quando produce tutto quello che la troppa luce del giorno non gli consente di mettere a fuoco. Convinto sostenitore dell’incomunicabilità dell’arte, tra le sue domande più frequenti si chiede perché la gente vuol capirla a tutti i costi, l’arte, ma della teoria della relatività non gli importa nulla.
“Quando tutto sarà finito tutto sarà finito”, pensato appositamente per Sineresi, è una riflessione sui cambiamenti che avvengono costantemente nelle nostre vite, sul fluire di eraclitiana memoria, sulla fine ma anche su ogni nuovo inizio. Vuol riproporre una parte del suo percorso recente, ma è anche un tentativo di riallacciare alcuni suoi lavori significativi in un percorso inedito, non necessariamente cronologico, ma dettato da istanze che possano in qualche modo giustificarne l’esistenza.
Formatosi presso l’Accademia di Belle Arti di Roma, Marcello Mantegazza porta avanti una ricerca atta ad analizzare e restituire i concetti di vita e morte, permanenza e trasformazione, lo scorrere del tempo, il pericolo, la corruzione e consunzione, l’estraniamento attraverso diversi linguaggi espressivi. Da sempre ossessivamente preoccupato della precarietà della vita, il suo fare artistico si orienta verso forme e contenuti personali di matrice pessimistica ed esistenzialistica, con un’ossessione vera e propria verso le catalogazioni e gli inventari, gli elenchi e le numerazioni, cercando in esse di imbrigliare un meraviglioso incomprensibile e indecifrabile a parole.
“Tutto il procedere dell’artista contiene una stratificazione di significati che rinviano sia al concetto del tempo, della durata e della caduta, sia a una poetica enciclopedica portata a riflettere sul valore – anche estetico – della catalogazione. Entrambe le declinazioni si intrecciano da sempre nell’intera investigazione di Marcello Mantegazza”. Barbara Martusciello (2013).
Nato nel 1974 si è diplomato nel 2003 presso l’Accademia delle Belle Arti di Roma. Attualmente è rappresentato dalla galleria 3)5 Arte Contemporanea, con sede prima a Rieti e poi presso Villa Lais di Sipicciano (Vt), dimora storica del ‘700 nella Tuscia viterbese, galleria che supporta il lavoro di artisti di diversa provenienza geografica e culturale.
PETROLIO
Installazione ambientale – Dimensioni variabili 2019
Realizzata presso l’Atelier #3 di Macro Asilo, 17-22 settembre 2019, Macro, Museo d’Arte Contemporanea di Roma.
Date e luoghi che scolpiti nella pietra segnano per sempre, ricostruiscono un’epoca e sottolineano il momento. Una sintesi piena di rimandi e di storia contemporanea ancora completamente da svelare. Oscurata, chiusa dentro un cubo di marmo. Parole che danno input per approfondire e spunti per capire. Mantegazza prova a tirare una linea nera come il Petrolio, unita da punti rossi come il sangue. Parte da Bescapè dove muore in uno ‘strano’ incidente Enrico Mattei, per poi passare a Palermo con la scomparsa del giornalista Mauro de Mauro, ed al più noto Idroscalo di Ostia con l’assassinio di Pier Paolo Pasolini. C’è un nesso, una trama che Mantegazza porta fino alla Basilicata. Sua terra natia, l’unica non citata ma velatamente tirata in ballo da una recente cronaca di sversamenti illeciti con ipotesi di disastro ambientale. Netto, deciso e con un taglio quasi giornalistico ‘Petrolio’ è stato presentato da Marcello Mantegazza in Studio d’Artista nella settimana dal 17 al 22 settembre al Macro Asilo, Roma.
Serena Achilli
SUICIDE GIRLS
Installazione ambientale – Dimensioni variabili -2016
Estratto dal testo CHORA | territorialità spurie, di Donato Faruolo
[…] Suicide Girls (2016) di Marcello Mantegazza è un’installazione ambientale consistente in sette cubi di legno bianco di 24 centimetri per lato che riportano in sommità una lastra di marmo di Carrara. Su ognuna delle sette lastre è inciso il nome di una poetessa suicida (Virginia Woolf, Sylvia Plath, Antonia Pozzi, Anne Sexton, Marina Ivanovna Cvetaeva, Alfonsina Storni Martignoni, Amelia Rosselli). Le lapidi, prese singolarmente, sono il risultato della più determinata tensione verso il prototipo della lapide funeraria: marmo di Carrara arabescato di grigio, carattere graziato, composizione a epigrafe, incisione del nome su pietra. A questo sforzo di anaffettività e privazione di sensi, fa da contraltare la fredda attitudine al catalogo, alla lista, al censimento, all’inventario, condotta con abnegazione e controllo verso il più rigoroso degli esiti. Il corto circuito tra indagine del tema mortuario e applicazione di un algoritmo classificante riesce a scatenare un profondo senso di disturbo dovuto alla capacità di Marcello di anatomizzare gli immaginari per poi condurli al vivo del trauma, per far emergere l’innocente atrocità che è in essi. Come spesso accade nelle sue opere, un titolo irridente e amaro dai toni pop: Suicide Girls non è solo la descrizione del tema dell’opera, ma è anche il nome di una nota community di donne tatuate amanti di una fotografia dalle edulcorate estetiche punk.
SPOILER: YOU WILL DIE
Interventi installativi – Dimensioni variabili -2016/2019
[…] Il termine Spoiler (dall’inglese to spoil, ovvero rovinare) si riferisce a vari contesti dove può essere svelata una narrazione; è comunemente usato in ambito cinematografico per segnalare che un copione o il plot riportano delle informazioni che potrebbero scoprire in anticipo i punti salienti della trama della pellicola. Il Cinema, nel lavoro di Mantegazza, è un pretesto per trattare i suoi argomenti problematici […]. La vita stessa reca in sé uno spoiler: la fine è nota. L’autore non fa che denunciare ciò, entrando dentro la materia e un ragionamento che egli visualizza con opere che mantengono una propria intima, drammatica bellezza. Tutto il procedere dell’artista contiene una stratificazione di significati che rinviano sia, abbiamo detto, al concetto del tempo, della durata e della caduta, sia a una poetica enciclopedica portata a riflettere sul valore – anche estetico – della catalogazione. Entrambe le declinazioni si intrecciano da sempre nell’intera investigazione di Marcello Mantegazza […].
Estratto dal testo: SPOILER: YOU WILL DIE. L’ARTE RIVELA… MA “OGNI COSA MUTA, NULLA S’ANNICHILA” (Giordano Bruno) di Barbara Martusciello dicembre 2012
Opera realizzata in diverse versioni e dimensioni, con diversi tipi di pietre, dal marmo di Carrara al travertino, rispettivamente per la collezione del MAAM, Museo dell’Altro e dell’Altrove di Metropoliz, a Roma, con opera in catalogo a cura di Giorgio De Finis, Bordeaux Edizioni, Roma 2017; per la collezione del DIF, Museo Diffuso di Formello (Roma), opera in catalogo Inside Art edizioni; per la collezione di Villa Lais, dimora storica a Sipicciano (Vt), sede della galleria 3)5 Arte Contemporanea; per la seconda edizione del Festival di Arte Contemporanea Algoritmo a Civita di Bagnoregio (Vt) a cura di Serena Achilli, nell’ambito dell’Urban Vision Festival di Acquapendente, per l’VIII edizione del Festival Citta delle Cento Scale a Potenza e per la mostra Inferni, nell’ambito della XX edizione del Lucania Film Festival presso il CINEPARCO TILT di Marconia di Pisticci (Mt), mostra inaugurata alla presenza del maestro Dario Argento.
La scritta “Spoiler: you will die” è un marchio registrato.
FOUNTAINE
Installazione ambientale 40x90x40 cm c.ca – 2017
Realizzato in occasione del centesimo anniversario di Fountaine (1917) l’omonima opera è una citazione dell’orinatoio di Marcel Duchamp, il cui titolo originario è proprio Fountaine. La citazione vuol indagare il tema del debito (nel caso specifico quello dell’arte contemporanea nei confronti di Duchamp) con un’appropriazione in-debita, quella della firma dello stesso autore sotto lo pseudonimo di R. Mutt. Firma che compare sull’orinatoio ready-made elevandolo così ad opera d’arte. Nel caso specifico nome e data sono stati incisi a sabbia con carattere lapidario su una lastra di marmo di Carrara, a testimoniare la scomparsa dell’oggetto e nello stesso tempo la sua costante presenza negli immaginari collettivi, dettata proprio da quel nome e quella data, R. Mutt 1917.
SONO STATO FORSE SARÓ STATO
Installazione ambientale 40x40x90 – 2016
Sono Stato Forse Sarò Stato, anni ed anni di militanza dentro se stessi, è una riflessione sul continuo divenire e sui cambiamenti ai quali il tempo e la quotidianità ci sottopongono.
DOVE SIAMO TUTTI QUANTI?
Installazione ambientale 40x90x40 – 2017
L’opera prende spunto dal famoso paradosso di Fermi sulla vita intelligente nell’universo (“dove sono tutti quanti”) parafrasandolo, con l’intenzione di ribaltarne il significato, evidenziando quel senso di vuoto e mancanza proprio qui sulla terra, dove l’umanità è disconnessa e l’individualità in bilico tra la solitudine e l’incapacità di comunicare.
ITALIA CHIAMÒ
Frottage dal Monumento ai Caduti della prima e seconda guerra mondiale di Muro Lucano (Pz). Site specific
Dimensioni variabili – 2018
La memoria, lo scorrere del tempo e la sua sistematizzazione, l’attitudine al catalogo, alla lista, al censimento, all’inventario, peculiari argomenti d’investigazione dell’autore, sussistono in questa opera, dal titolo “Italia chiamò”. Il frottage, tecnica di disegno e pittura basata sul principio dello sfregamento riportata in auge dai Surrealisti, del monumento ai caduti di Muro Lucano (Pz) restituisce una lunga lista di nomi, riaffioranti sui fogli di carta tramite l’utilizzo della grafite, allo stesso modo di un’immagine che prende velocemente forma e consistenza all’interno di una camera oscura, ed è volto ad anatomizzare il concetto di tempo e di memoria, attraverso la poetica enciclopedica dell’artista, portata a riflettere sul senso e sulla qualità – anche estetici – della catalogazione.
I monumenti ai caduti della prima e seconda guerra mondiale punteggiano il territorio italiano segnando una sorta di drammatica geografia della memoria, e perseguono quella ricerca di senso che da sempre anima il procedere degli esseri umani. Per le generazioni che hanno vissuto la guerra avevano sì un significato politico, civile, artistico ed estetico, ma anche, senza dubbio, un importante significato strettamente “esistenziale”. Da qui l’interesse dell’artista verso di essi, nel tentativo di appropriarsi, pur in maniera fugace e con l’espediente del frottage, di un dispositivo di senso così forte e potente e nello stesso tempo destinato all’oblio.
CADAVRE EXQUIS
Installazione, quadreria Dimensioni variabili – 2011
estratto dal testo Marcello Mantegazza: THE END. Ma non è la fine, 2013
di Barbara Martusciello
(…) nella serie Cadavre exquis, del 2011 si susseguono fogli di antologia della poesia e letteratura con i nomi dei grandi scomparsi che, individuati, selezionati e messi in mostra si riappropriano di una loro vita e di una forza generatrice che la cultura e il Sapere mantengono ma che ha bisogno di rafforzarsi: Mantegazza sceglie, aggiusta, assesta, ne fa quadreria fedele alla sua poetica concettuale ed enciclopedica da archivio.
THE END
Timbro datario su parete
4,5×3,5 mt, all’interno della galleria 3)5 Arte Contemporanea, sede di Rieti. Site specific. – 2013
estratto dal testo di Barbara Martusciello “Marcello Mantegazza: THE END. Ma non è la fine”., 2013
La titolazione di questa mostra, THE END, che vede campeggiare l’omonimo lavoro site specific di Marcello Mantegazza, contiene richiami esistenziali e anche cinematografici. Infatti, quando una pellicola terminava, è questa la scritta che compariva sullo schermo, ad avvisare il pubblico che non c’era più altro da vedere: fine della storia. Positiva o negativa che fosse, che sia, è un percorso, non solo cinematografico, che volge al termine: un avviso, ma direi una constatazione, che è reperto d’annata perché ormai inusuale nei film più recenti ed è quindi anche parte della memoria più o meno condivisa. The End è vintage ma è anche un serio rimando alla vita che, come Mantegazza ha definito in una precedente Personale, include, come anche certa cinematografia, uno spoiler: anticipazione più o meno evidente della trama e della sua conclusione. L’autore non fa che palesare ciò, entrando dentro la materia e un ragionamento che egli visualizza con opere che mantengono una propria sofisticata bellezza. Tutto il procedere dell’artista racchiude una stratificazione di significati che rinviano all’analisi di questioni capitali come lo scorrere del tempo, la sua durata e la sua sistematizzazione, il pericolo, la corruzione e consunzione, l’estraniamento, la caducità della vita. E’ il concetto di tempo, in special modo, che egli anatomizza attraverso una sua poetica enciclopedica portata a riflettere sul senso e sulla qualità – anche estetici – della catalogazione. Il fattore e valore-tempo sono approfonditi in maniera forse più evidente – e anche grazie alla grande opera su muro The End – e passano attraverso paternità/maternità autorevoli come quelle di Alighiero Boetti, On Kawara, Gino De Dominicis, Vincenzo Agnetti, Roman Opalka, Annette Messager, Christian Boltanski fino a Esther Ferrer o a Christian Marclay… Ho più volte avuto modo di scrivere questa derivazione, che è molto importante e manifesta, come diversamente lo è l’insistenza per la classificazione in modo sistematico. Anch’essa ha radici storiche ma qui si definisce in una sfera più personale, recondita. Mantegazza, cioè, attiva campionari privati che tradiscono una sua passione per gli inventari: di fotografie, per esempio, ma anche di ritratti di persone, di appunti, oggetti… Egli è attratto dalle elencazioni di nomi, di date significative, di sequenze telefoniche, di indirizzi e di attività consuete organizzate grazie a liste della spesa, degli appuntamenti, degli ingredienti; ama gli abecedari, le tavole anatomiche, le statistiche, i manuali, gli indici e accumula collezioni. Quest’apparentemente onnivora attenzione per ogni promemoria ed enumerazione è collegata da una necessità dell’artista di ricopiare, scrivere o disegnare una serie di contenuti, di testi e di componenti anche grafico-visivi su album, taccuini, agende e altri supporti tradizionali – cartacei e comunque analogici – al fine di memorizzare il dato di partenza, di studiarlo e possederlo contemporaneamente. Di sradicarlo dal non luogo dell’indistinto, dell’indifferenza o, peggio, del rumore di fondo. In questa sua pratica non v’è un’indagine sull’ordine e sul controllo ma una considerazione sul fluire di eraclitiana memoria (πάντα ῥεῖ ὡς ποταμός) e in questo lungo scorrere egli non vuol rischiare di perdere nulla delle cose del mondo e della vita. Così lavora incessantemente: timbra muri creando messaggi, scava libri chiusi alla ricerca delle parole da non dimenticare, strappa per conservare e rianimare pagine di zibaldoni… La vita passa pure dagli albi, da registri e affastellamenti di elementi, come lo sono gli anni, i mesi, i giorni, gli attimi di cui si compone la nostra realtà. Così Mantegazza si aggrappa a questi frammenti, scandisce queste parti e le riporta al tutto: per The End usa un datario, contrassegnando il muro con un inchiostro standard che imprime sulla superficie le tante e diverse date del timbro equivalenti ai molti giorni di lavoro che sono occorsi per visualizzare, appunto, le parole; esse si possono leggere, però, solo scendendo a patti con lo spazio, ovvero guardandole da una certa distanza: di sicurezza? Sia come sia, forse è saggio quel che affermava Charles Baudelaire, che qui pare prendere decisamente corpo con un’analoga consapevolezza, ovvero che “C’è solo un modo di dimenticare il tempo: impiegarlo”, e vivere.
REFLUSSI DI INCOSCIENZA
Progetto per FACE TO FACE, residenza presso l’ex carcere mandamentale di Montefiascone (Vt), a cura di Giorgio De Finis, in collaborazione con ArteLiberaTutti – 2017
Rinchiuso per due giorni in una cella dell’ex Carcere mandamentale di Montefiascone (Vt), nell’ambito di Face to Face, the maieutic machine, a cura di Giorgio De Finis, l’artista interagisce con gli ospiti che di volta in volta vengono chiusi con lui all’interno della cella. Il progetto proposto prende spunto dalla cosiddetta scrittura automatica teorizzata da Breton nei manifesti del surrealismo e che può avvenire in maniera cosciente, ma senza consapevolezza di quello che si sta scrivendo.
Gli ospiti, precedentemente bendati sono fatti sedere di fronte ad una scrivania sulla quale sono poggiati un foglio di carta bianca 50×70 e una grafite nera. Nei dieci minuti che passano insieme, l’artista leggerà a voce alta (scegliendole a caso da dieci moduli/frammenti precedentemente individuati), alcune pagine dell’Ulisse di Joyce, testo cardine per la genesi del romanzo moderno, in cui molte parti del racconto sono sviluppate secondo quella particolare tecnica di scrittura chiamata flusso di coscienza, tecnica narrativa consistente nella libera rappresentazione dei pensieri di una persona così come compaiono nella mente, prima di essere riorganizzati logicamente in frasi.
L’ospite cerca di trascrivere quanto l’artista legge. Nei primi minuti cercherà di essere attento alla scrittura, ma già dopo un po’ sarà costretto dalla perdita momentanea del senso della vista, a fidarsi solamente del proprio istinto, cercando all’inizio di sforzarsi ostinatamente nel controllo della scrittura. Inutilmente, in quanto la stessa scrittura si farà deformante ed espressionista, alterata e fumosa, le righe si sovrapporranno fra loro, l’attenzione necessariamente calerà e l’esperienza si trasformerà nel corso dei minuti. Dal tentativo di seguire una logica fino all’inettitudine e alla frantumazione dell’esperienza stessa, arrivando quasi a una perdita di coscienza parziale di ciò che si sta facendo, il cui risultato sarà una sorta di ri-scrittura automatica dei flussi di coscienza joyciani, visibilmente un groviglio di segni solamente in parte decodificabili, ma dalla forza energetica evidente.
“Al di là da ogni preoccupazione estetica e morale” l’ospite sarà riuscito ad esprimere un proprio segno energetico libero, proveniente dal profondo e quindi assolutamente personale ed autentico.