Sakine Cansiz, donna Kurda, femminista, cofondatrice, insieme al leader Kurdo Ocalan, del Partito dei Lavoratori Kurdi (PKK), è stata assassinata a Parigi il 9 gennaio 2013 insieme a due giovani donne, Fidan Dogan e Leyla Soilemez, per mezzo di un attentato presso la sede dell’Ufficio di Informazione del Kurdistan nella capitale francese.
“Tutta la mia vita è stata una lotta” è il titolo dato a due libri scritti dall’autrice che testimoniano della sua vita di resistenza fin dall’adolescenza, combattuta contro il patriarcato, la struttura della famiglia, del matrimonio e dei poteri dello Stato, ma che rappresenta il percorso di liberazione di tutte le donne , del popolo kurdo, e di tutti i bambini, i ragazzi, gli anziani e tutti coloro che oggi subiscono in Turchia le distruzioni operate dalla lucida follia che ha invaso il governo turco che agisce assediando le città “ribelli” del popolo kurdo ( come Van, Cizre, Nusaybin, Sur, Silvan e altre), arrestando giornalisti, avvocati, accademici, insegnanti, per annientare chiunque aspiri a un cambiamento della società ed evitare quanto avvenuto in Rojava (Siria del nord), dove gli uomini e le donne di cui Sakine parla nel suo libro hanno liberato e ricostruiscono Kobane assediata per mesi dall’Isis (Daesh) nel 2014.
Nel primo libro Sakine -Sara, nome di battaglia- ha narrato gli eventi che l’hanno portata dalla prima gioventù (vissuta in una famiglia di origine kurda- alevita nel territorio di Dersim, in Turchia, dove gli appartenenti al popolo kurdo avevano subito un genocidio nel 1938 da parte dell’impero di Ataturk) a scegliere il suo destino aderendo ai movimenti di liberazione che negli anni 70 andavano formandosi per avviarsi verso una lotta di liberazione di quel popolo, insieme a molti giovani e soprattutto donne che, acquisita coscienza della propria identità sociale e politica, cominciavano a lottare contro una tradizione che le vedeva relegate a ruoli di madre e moglie, senza possibilità di alternativa ad una vita costretta tra il sacrificio per la famiglia e l’educazione di una miriade di figli .
Nell’ultimo libro, che racconta la vita di Sara dall’arresto, avvenuto nel maggio 1979, fino alla liberazione del 1990, è presente anche la testimonianza di donne che hanno resistito alle torture e alle violenze che in quelle prigioni – disseminate in territorio turco da Elazig a Malatya, a Diyarbakir, Amasya e Canakkale – hanno subito dai loro aguzzini che tentavano di piegarle a far loro rinnegare la lotta per la liberazione del popolo kurdo allorquando la popolazione kurda non poteva neanche parlare la propria lingua e subiva addirittura il cambiamento del nome, trasformato dalle autorità turche per negare le loro origini e ribadire l’esistenza dell’unica cultura turca per tutti i popoli presenti in Turchia, così come aveva stabilito il potere del padre della patria turca, Ataturk.
Sara e tutte le giovani che con lei hanno vissuto quell’esperienza nelle carceri turche hanno subito torture come la “falaka”(tortura consistente in colpi inferti con i manganelli sotto le piante dei piedi fino a farli sanguinare), gli stupri operati dai guardiani verso le donne più deboli, le uccisioni e le violenze più assurde e inutili (Sara ha subito anche l’asportazione dei seni), le umiliazioni più atroci, ma senza mai rinnegare la propria volontà di lotta e senza abbandonare la loro tenacia nel combattere contro qualsiasi sopruso.
Gli scioperi della fame, organizzati con molta difficoltà insieme agli uomini detenuti (scioperi che sono stati anche causa della morte di alcuni di loro), hanno mostrato la dignità e la determinazione dei detenuti politici che rifiutavano le imposizioni crudeli con cui nelle carceri, dopo il colpo di stato militare in Turchia del 1980, si mirava a far loro rinnegare la propria identità o li si umiliava pretendendo che vestissero con divise apposite, che cantassero canzoni fasciste dinanzi ai compagni e alle guardie, che facessero l’alzabandiera ogni mattina inneggiando ai capi militari.
Sara/Sakine, nonostante tutto ciò, continua a credere nelle proprie idee e a lavorare con le donne per affermare, anche nei confronti dei compagni maschi che spesso non le consideravano nelle decisioni di lotta nel carcere, se stessa, il proprio genere e le scelte fondamentali in un cammino di liberazione non solo dal carcere ma anche nella vita: imparare a scrivere e leggere, combattere contro le umiliazioni, organizzare una evasione, imporre la propria identità di genere in tutte le situazioni di vita.
Naturalmente Sakine prova anche a fuggire e il racconto delle fughe da lei tentate avvince i lettori quanto la narrazione delle scelte dolorose di rompere con gli uomini della sua vita: la separazione dal marito con cui decide di lasciarsi perché non è in linea con le sue idee di vita e di lotta, le sue esperienze di approccio con i compagni che può incontrare , a volte, ai processi o nel passaggio in un cortile del carcere o ai colloqui con i familiari.
Il mondo di Sakine in carcere aiuta a capire la lotta del popolo kurdo, la lotta di gente testarda, vissuta in villaggi di montagna nel sud est della Turchia, nel territorio compreso tra fiumi Tigri ed Eufrate, l’antica Mesopotamia.
Un popolo testardo, dignitoso e forte, che non accetta più di essere relegato al ruolo di “indipendentista”. I Kurdi sono consapevoli di essere un popolo con le proprie tradizioni, la propria lingua, la propria cultura e vogliono vivere in pace con tutti i popoli che vivono nel territorio del sud est della Turchia, nel nord della Siria, nel sud ovest dell’Iran e nel nord dell’Iraq. Non rivendicano uno “Stato”, bensì una libertà di vivere senza subordinazione a governi dittatoriali come quello turco. In Rojava, nel nord della Siria , da circa quattro anni vive l’esperienza pratica di un governo regionale autonomo, dove Kurdi, Turcomanni, Aleviti, Arabi ed altre etnie convivono sotto la garanzia di un contratto sociale, Costituzione che prevede libertà di culto, di lingua e di tradizioni di ciascuno dei popoli lì presenti, con un diritto di genere che prevede doppio incarico in ogni carica istituzionale.
La proposta di gestione di regioni autonome, con la convivenza pacifica tra i popoli, è una proposta che il popolo kurdo offre a tutto l’Oriente oggi dilaniato da guerre sanguinose.
L’opera di Sakine è lo specchio del dolore dei popoli oppressi, ma anche della forza che essi possono esprimere seminando quell’amore e quella solidarietà che hanno permesso il rientro nel loro Paese, in Iraq,di migliaia di cittadini costretti alla fuga.
Quando i criminali dell’Isis , infatti, hanno invaso il territorio dello Shingal attaccando gente pacifica che viveva nel proprio isolamento religioso e costringendola a subire il rapimento di oltre 4000 donne ( madri e giovani fanciulle, poi stuprate per aver rifiutato di sottostare alla religione islamica), le formazioni femminili kurde, in quell’agosto del 2014, mentre i soldati di Barzani fuggivano davanti alle orde islamiche, hanno creato, conquistandolo, un corridoio umanitario per far fuggire quella popolazione e, successivamente, hanno addestrato anche le donne alla difesa cosicché oggi tutti sono tornati nella propria terra ed hanno creato un esercito per la difesa dei cittadini, garantendone, per quanto possibile in quelle zone, sicurezza e tranquillità.
Con “Tutta la mia vita è stata una lotta” entriamo nella storia di un popolo e delle sue donne che cercano la pace, la convivenza e la solidarietà tra i popoli.
Simonetta Crisci ( da Sineresi n.4 )