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Il romanzo “Il Ragno” di Anna R.G. Rivelli è un’opera narrativa complessa della quale è necessaria dare una lettura che vada al di là della semplice fabula narrativa. Quando si ha fra le mani uno scritto di Anna R.G.Rivelli si è sicuri di leggere uno scritto fluido, ben organizzato con un sapiente uso della lingua italiana. La vicenda accattivante, la scorrevolezza di dialoghi, la piacevolezza della scrittura sono elementi che facilitano un discorso critico letterario su un’opera che dona una lettura che nella narrativa moderna non capita spesso. Il limpido, fluido uso della lingua è frutto anche di una linearità del tessuto narrativo del romanzo, ma anche di un diuturno contatto con la migliore narrativa italiana, quella narrativa che fa parte della categoria dei classici. La scrittura di Anna R.G. Rivelli esce dai canoni commerciali e dal linguaggio singhiozzante quale spesso si trova in tanta narrativa di oggi.
L’opera letteraria narrativa è frutto di due fattori determinanti: l’autore e l’ambiente che vuole ritrarre; va inserita nella realtà culturale e nella esperienza del proprio tempo, avvertita e sperimentata in tutte le sue dimensioni per riflettere globalmente l’ambiente che la produce. […]La vita che lo scrittore conduce, il suo portato culturale, le sue esperienze difficilmente rimangono estranee all’opera letteraria. Da tutto questo l’estro narrativo, che è ciò che crea l’opera d’arte, non è mai staccato. Chi scrive rivolge la sua attenzione prima a se stesso, alla sua cultura, poi agli ambienti culturali che frequenta, al dialogo intrattenuto con le esperienze culturali del tempo, con le poetiche generali che in quel periodo istradano le produzioni letterarie e con la sua personale poetica, poi dà impulso alla sua fantasia per creare la fabula che darà vita alla storia che si vuol narrare.
Il narrato può essere storico, sociale, psicologico, d’ambientazione la più varia, elemento essenziale dell’opera letteraria, del romanzo in particolare, è una storia vissuta da qualcuno, da uno o più personaggi che si muovono nel contesto narrativo. Costoro sono i protagonisti della storia, ma dietro questi vi sono altri due elementi essenziali: l’autore della storia e il lettore.
Tra autore e lettore deve sempre crearsi un rapporto di interdipendenza […] La fabula del racconto, gli accadimenti che condizionano i personaggi della storia devono suscitare nei lettori una carica emotiva intensa che Aristotele chiama catarsi. Anna Rivelli ha costruito una fabula che può costituire un paradigma, un modello esemplare che può essere catartico per la società di oggi, tempo della storia narrata, nei rapporti genitori-figli. L a fabula della Rivelli entra profondamente in contatto con un problema vitale e dibattuto nella moderna società e con il vissuto di una donna impegnata nel dibattito esistenziale col suo essere donna libera culturalmente. Fin dalle prime pagine del libro si respira un anelito di libertà, proiettato nella protagonista della storia. Tutta la prima parte del romanzo descrive la lotta che Virginia è costretta a sostenere per riscattare la sua vita di ragazza irretita dal padre che cerca di impedirle qualsiasi movimento, per essere padrona di se stessa, della sua giornata, per rivendicare il diritto di lavorare, il diritto di uscire di casa perché possa essere autonoma non solo come persona fisica, ma mentalmente, libera nei pensieri, prima che nei movimenti. Il titolo del romanzo, che ad una lettura letterale potrebbe far credere ad un libro su un animale non troppo amato, introduce il lettore in una metafora che va avanti per tutto il racconto. Il ragno è il padre egoista, autoritario, il padre padrone, esattamente come è padrone il ragno delle prede che cattura con la sua rete. Se le prede che cattura il ragno cadono incautamente nella rete, la preda che vuol catturare il ragno padre lotta con tutte le sue forze, e alla fine eluderà quella rete sottile che le è stata gettata attorno.
Questo personaggio, o meglio tutti i personaggi creati dalla penna della Rivelli si fanno seguire fino in fondo, fino alla fine della storia, dal trionfo del punto focale della storia (che possiamo individuare nella frase di Virginia. La porta di Casa che si chiude alle spalle è un inno alla libertà) in poi l’interesse del lettore è in continuo aumento.
Chiusa la porta, rimangono chiusi in casa il padre tiranno, ragno che dal centro della sua tela tira i fili, e la madre, grigia e senza vita. Due personaggi squallidi che spariscono dalla storia come sparisce dalla storia della vita il modo distorto di una educazione dei figli basata sulla costrizione, sulla pretesa di costruire i figli a propria immagine e somiglianza, fuori dal tempo e dalla realtà che giornalmente si vive. La metafora del ragno, animale che non raccoglie simpatie, che dal centro della sua tela crede di dominare il mondo, perché riesce ad irretire piccole prede, coglie a pieno la situazione nella quale viene a trovarsi la protagonista della storia narrata. Ed è proprio questa metafora che va letta in profondità, che tiene avvinto il lettore, il quale segue con compiacimento ed interesse le lotte della protagonista per sfuggire alla sottile rete del ragno. Virginia sfugge alla rete risolvendo il dilemma se ubbidire ai genitori e essere plasmata o spiegare le ali verso la libertà.
Non ubbidire e non essere plasmata, ma spiegare le ali: questo vuole la sua libertà di donna prima che di ragazza. È questo quanto avviene nell’Antigone di Sofocle, tragedia nella quale Antigone si trova davanti al dilemma se ubbidire ai suoi impulsi dell’animo che la spingevano a rispettare la morale naturale oppure la legge imposta da chi comanda, paragonabile anche in questo caso ad un ragno che vuole irretire tutti nella sua tela. L’eroina risolve il dilemma: rispettare la morale naturale, secondo i moti del suo animo, che la spingono verso una libertà di agire, spezzando la rete lanciata per avvolgerla. Questo è anche il dilemma di Virginia, la protagonista del nostro romanzo: ubbidire alla legge naturale che, nel rispetto delle regole, sancisce la libertà di ogni uomo o donna nell’organizzare e programmare la propria vita ed opporsi ad una assurda imposizione priva di qualsiasi norma. Antigone e Virginia scelgono la libertà: Antigone andò incontro alla morte; Virginia alla vita e alla libertà.
Dal punto di vista narratologico la nostra scrittrice, almeno apparentemente, ha spezzato il triangolo narratore autore, protagonista della storia, lettore. Essa si è nascosta dietro la protagonista, la quale non è oggetto del racconto, ma è soggetto narrante e nello stesso tempo oggetto narrato. Il racconto, infatti, è condotto in prima persona: è la protagonista Virginia che racconta se stessa, che racconta la propria lotta contro le posizioni irrazionali di un padre padrone, che ella, con una metafora ironica, paragona ad un ragno. Viene fuori un racconto avvincente, una autoanalisi psicologica sconvolgente che Virginia fa su se stessa, un cercare ed immaginare di aver trovato quell’amore che non ha trovato in famiglia nelle apparizioni di quello che era stato il suo vero padre e che non aveva avuto modo o occasione di conoscere. Le difficoltà, i dissapori, il travaglio esistenziale di Virginia creano un personaggio da sogno, evanescente, senza corpo, che si materializza nell’immaginazione, un’immaginazione che va al di là del razionale, perché non si può pretendere che al mondo tutto abbia una logica, ci sono cose che non ce l’hanno e basta, eppure esistono e sono!
Un inconscio desiderio di essere amata d’un amore che tutto dona e nulla chiede, d’un amore grande quanto solo può essere quello di un padre, d’una carezza sempre vagheggiata e mai avuta, di quella tenerezza di cui è capace l’affetto di un padre, crea nella mente e nell’animo della protagonista una figura di padre esistente solo nella sua mente, che avrebbe voluto al suo fianco nei momenti difficili della vita. Lo vede nel sogno, nell’immaginazione così intensa,che vien creduta realtà. Paolo Delgado, padre non più in vita e mai conosciuto dalla protagonista della fabula, continua a vivere nell’inconscio, nei pensieri di Virginia, e prima di essere padre, è l’uomo dei suoi pensieri, l’uomo della sua vita, l’uomo che lei si è costruito fino al punto da non distinguere più l’immaginazione dalla realtà.
Quale la chiave di lettura del romanzo? La psicanalisi, un ambiente reale di vita di una ragazza costretta a vedere le proprie aspirazioni coartate da un padre possessivo che vede nella donna ancora un oggetto, l’emancipazione della donna che fatica ad uscire dal nido? Senza dubbio queste ed altre sono le problematiche che emergono dalla lettura di questa fabula che presenta un intreccio ricco di accadimenti dai quali la protagonista si vede circondata e che provocano sconvolgenti emozioni.
Con la tecnica dell’autoraccontarsi del personaggio protagonista, l’autrice, Anna R.G. Rivelli, si eclissa, scompare, sembra quasi che si faccia condurre per mano dal racconto di Virginia, che determina i fatti. L’autrice così è estranea alla storia, non interviene ne con riflessioni, né con descrizioni sia di personaggi che di luoghi. Questi vengono ad essere una sola cosa con il personaggio e l’autrice sembra raccogliere fatti, dialoghi e luoghi quasi scattasse istantanee e fissasse tutto sulla carta da stampare. La descrizione del terrazzino della casa che Virginia si crea nell’immaginazione è un’istantanea che suscita intense emozioni quali sono suscitate da un paesaggio immaginato: è un’istantanea fotografica creata dal racconto di chi ha vissuto intensamente quelle emozioni, e la descrizione diventa poesia:
Quel terrazzino è un cucchiaio di sereno, un boccone di spensierata innocenza
La presenza di Paolo, uomo evanescente, impalpabile, ombra sfuggente, eterea, lo rende un paradeisos edenico fuori di ogni logica e realtà. Virginia ha un innaturarsi simile a quello di Saffo dell’Ode sublime.
Il raccontarsi di Virginia inizia con le riflessioni che fa sulla madre « Mia madre….» dalle quali viene fuori un ambiente gretto, una famiglia nella quale vige ancora la legge del padre padrone, secondo una concezione di vita fuori del tempo. Virginia una ragazza dinamica, che cerca nel lavoro fuori casa il riscatto dall’oppressione familiare, non accetta passivamente la logica feroce del padre padrone che cerca di tessere intorno a lei una ragnatela per irretirla, per plagiarla nella mente e nel corpo.
Un tratto caratteristico del romanzo della Rivelli è l’uso della persona loquens, cioè il personaggio protagonista che racconta in prima persona la sua vicenda sia essa gioiosa o triste, che espone le proprie idee sui comportamenti che tengono verso di lei il padre o il fratello, sui quali esprime giudizi ironici quando li nomina dando loro dell’eccellenza per voler significare la sua prepotenza sulla madre, mosca intrappolata, dalla quale esige un rispetto riverenziale. L’artificio della persona loquens, che può essere un personaggio fittizio o anche reale della vita, conviene particolarmente a mascherare l’identità dell’autore. In questo modo la descrizione dell’ambiente familiare della protagonista è visto dal di dentro, è raccontata dai fatti e dalle parole che da questi scaturiscono.
Il cerchio di solitudine in cui viene a trovarsi Virginia, l’ineluttabile spirale di follia del padre, la passiva sottomissione della madre, mosca intrappolata, la protervia del fratello, la comparsa di un uomo immaginato, la scoperta di una paternità negata e perduta determinano una materia narrativa ed una scrittura esemplare, consegnano al lettore una figura di donna maestosamente incisa dentro il silenzio della storia, eroina e vittima sacrificale di quella concezione di vita che ha visto la donna come un essere senz’anima, come la vedevano gli antichi filosofi greci, senza capacità di intendere e di volere.
La fabula del romanzo della Rivelli è frutto di fantasia, il problema che solleva, però, è reale, antico, un problema antico quanto il mondo, riguarda il mondo occidentale e il mondo orientale: il nostro mondo, che definiamo civile e che ancora dibatte i problemi della donna […]. Il racconto della Rivelli è senza dubbio acronico per le problematiche che presenta, possiede un’acronia che spazia dalla realtà all’immaginazione, alla finzione, che ha permesso alla scrittrice di plasmare una storia leggera, suggestiva, accattivante. La finzione tinge di poesia leggera i fatti raccontati. Ogni frase, ogni parola quando portano nel racconto la finzione diventano poesia che dà al racconto uno straniamento dalla realtà che appare in una prospettiva diversa da una comune percezione. Virginia parte dal racconto della vita reale, vissuta, dalle difficoltà che giornalmente deve superare per rifugiarsi in un mondo metareale, in una finzione nella quale vive quella vita di libertà sempre sognata, vive quell’amore che solo un padre può dare, quel padre che lei immagina quale sarebbe potuto essere per lei, figlia inseguita per tutta la vita e mai raggiunta. L’immagine di quest’uomo, che vive nella finzione di Virginia, è eterea, evanescente, un’ombra che diventa materia impalpabile. Il dialogo sul terrazzo di casa durante la messa a dimora delle piantine sembra reale, con un uomo in carne e ossa, racconta Virginia : Lo guardo, ma è come se non lo vedessi, come se il suo corpo venisse fuori dai suoi gesti, oppure Si lascia inghiottire liquido dalla scala come un sorso freschissimo in un caldo d’estate. Paolo è senza un volto che io riesca a ricordare, senza mani che mi abbiano sfiorato. Io mi ritrovo coperta come se la trapunta leggera fosse stata rimboccata, dall’altra parte del letto è stato rifatto…Paolo non c’è.
Quell’immagine paterna, dagli occhi castani, più o meno dello stesso tono dei miei, si materializza nella finzione, ma rimane dolce fantasma quando la realtà si staglia davanti con tutta la sua tragicità…
Francesco Saverio Lioi