di Anna R. G. Rivelli,
Nel famoso discorso “La difesa della cultura” , pronunciato nel 1935 a Parigi durante il congresso internazionale degli scrittori, Gaetano Salvemini disse:
“Siamo tutti d’accordo che la libertà significa il diritto di essere eretici, non conformisti di fronte alla cultura ufficiale e che la cultura, in quanto creatività, sconvolge la tradizione ufficiale”.
Questo breve passo di un discorso quanto mai interessante ed articolato in difesa della laicità dello Stato e contro ogni forma di totalitarismo, appare particolarmente significativo anche perché in quella circostanza (quella di un congresso nato per sottolineare i valori dell’antifascismo) l’“eresia” di Salvemini (eresia che lasciò molti indignati e basiti) fu quella di non farsi scrupolo di stigmatizzare non solo il fascismo, bensì tutti i regimi totalitari perché tutti ugualmente capaci di ridurre ad uno stato di degradazione morale tutte le classi sociali, anche quelle intellettuali.
Dalle parole di Salvemini, quindi, nasce il sottotitolo della rivista Sineresi attraverso la quale, in un momento di grandi criticità come quello attuale, si intende rispondere al monito di questo grande uomo del nostro Mezzogiorno invitando le classi intellettuali a riappropriarsi di un ruolo che storicamente gli appartiene, quello di essere eretici, per l’appunto, e di non riconoscere a nessuno e a nessuna dottrina il monopolio della verità. Dice ancora Salvemini:
“Non disprezzate le vostre libertà, difendetele ostinatamente pur continuando a dichiararle insufficienti, a lottare per svilupparle”.
Ed è a questa libertà, quella che non bisogna mai illudersi che sia stata acquisita una volta per tutte, che Sineresi guarda con la certezza che solo una cultura realmente priva di vincoli di qualsivoglia natura può con efficacia contrastare l’incertezza e il degrado dei tempi.
D’altro canto il termine eresia deriva dal verbo greco αἱρέω che significa scegliere e Sineresi le sue scelte le ha già fatte.
La prima è proprio nel suo nome; Sineresi è parola musicale, di uso non comune, portatrice di un significato che rimanda ad un’idea di unione che, tuttavia, non rinuncia all’identità; come infatti nella sineresi due vocali appartenenti a due diverse sillabe possono all’occorrenza unirsi, così nell’impegno culturale collaborare tra più soggetti, più territori, più linguaggi non significa rinunciare all’io, ma piuttosto rafforzarlo nel noi.
La seconda “eresia” è quella di aver scelto di far nascere una rivista “vera”, materiale, cartacea insomma, in un’epoca che esalta la virtualità come una panacea, spesso rischiando di scrivere nel vento o nell’acqua vorticosa, per dirla con Catullo, pagine della nostra storia che poi sarà difficile recuperare. Quello dell’effimero tecnologico, infatti, è un rischio ancora assai spesso sottovalutato; la tecnologia, al contrario di quanto ingenuamente si è portati a credere, non è assolutamente garanzia di eternità, anzi troppi fattori concorrono a che essa metta a rischio le nostre memorie; cosicché si può giungere al paradosso esemplificabile con quanto accaduto in Inghilterra con la versione multimediale del “Domesday book”, realizzata per celebrare il novecentenario dell’antico manoscritto: dopo 900 anni il documento originale, fatto di pergamena e inchiostro, era perfettamente leggibile, mentre la versione moderna non lo era già più dopo nemmeno 15 anni.
La terza eresia è quella di privilegiare una visione del mondo forse anacronistica, fuori moda agli occhi di molti, nella quale tuttavia esiste l’unica probabilità di sopravvivenza di una cultura veramente libera; vale a dire privilegiare una sorta di “kalokagathia” del sociale, cioè il riconoscimento della divina unione del bello e del buono, a dispetto del principio imperante dell’utile quantificabile che oggi mortifica e tramortisce la cultura o le lascia come unica possibilità quella di farsi serva di una ufficialità precostituita o, anche, di una degenerazione di gusto che sembra essere l’unica committenza pagante rimasta.
Quarta eresia: il protagonismo di un Sud stufo di non essere riconosciuto ed in particolare il protagonismo della Basilicata. Oggi in Italia la cultura è un’esigenza ed un enigma. È un’esigenza perché è più che mai necessario superare la crisi morale e materiale che ci attanaglia, ma non si può continuare a farlo usando la grandezza del passato come baluardo dietro cui insistere ad accumulare la pochezza del presente; in Basilicata si aggiunge il dovere di non sprecare l’opportunità di Matera Capitale, Matera che non è più solo una città, ma la regione intera e l’Italia intera che diventa cuore dell’Europa tutta.
La cultura è però anche un enigma che va chiarito a se stesso, perché non si confonda il senso dell’identità con una fissità ed un immobilismo che finiscono per far sparire proprio l’individuo ed esaltare, invece, una costruzione artificiale che si fa stereotipo e diventa perciò stesso una gabbia. La cultura d’altronde non è un oggetto naturale, bensì un prodotto dell’uomo, e pertanto resta viva solo se è capace di evolversi attraverso relazioni ed interazioni, solo se la consapevolezza e l’orgoglio delle radici restano luce per il presente e non zavorra per il futuro.
È per questo che Sineresi mira ad essere territorio senza essere recinto, a porre al centro una Regione che non è più quella che un’ufficialità muffosa e stantia propaganda con la voce stentorea di un potere colpevolmente ignorante, ma è una regione capace di impegno e proposta, non solo Basilicata, ma anche Sud, ma anche Italia, ma anche Europa.