La contemplazione della forma e il silenzio dell’essere
“Nulla succede per caso”, così Robert H. Hopcke dà valenza alle coincidenze della vita le quali mettono in luce gli eventi esterni che a loro volta riflettono in modo esatto eventi e stati d’animo elaborati interiormente e fanno apparire così le nostre vite come storie di cui noi stessi siamo i personaggi. E proprio grazie ad una mera coincidenza che, negli ultimi tempi, ho avuto la possibilità di osservare e contemplare il lavoro di Caterina Arcuri, artista di origini catanzaresi, la quale, sin dagli albori degli anni ’90, sperimenta, attraverso la sua sensibilità e compostezza, diversi linguaggi inerenti alle arti visive, i quali spaziano dalla pittura alle opere plastiche, dalla fotografia alla video arte; ma il suo pensiero culmina poeticamente con tutta la sua bellezza d’animo nelle performance e installazioni artistiche.
Possiamo affermare che nel panorama dell’arte contemporanea, Arcuri, si identifica con opere di assoluta purezza estetica utilizzando materiali extra-pittorici quali l’acciaio, supporti lignei e ceramiche. Si pone degli interrogativi, soprattutto in un momento dove la parola virus entra nel nostro linguaggio quotidiano e conduce ad un’assoluta trasformazione sociale condizionata dalla paura di vivere. Attraverso la riattualizzazione di un video autoritratto, presentato lo scorso anno al MACRO di Roma, intitolato “Forse ci siamo”, Caterina Arcuri espone nuovamente le sue opere nel Centro Open Space di Catanzaro, trasformando positivamente questo lungo periodo di isolamento vissuto da tutti noi, ponendo metaforicamente una distanza fisica tra l’opera e il fruitore; un guardare al di là del vetro, inducendo, così, l’occhio umano, ad un movimento che dall’interno va verso il mondo e oltre; uno specchio-riflesso, inteso come linea di confine tra arte e pensiero umano, tra il reale e l’irreale, tra la materialità corporea e quella spirituale. Le opere esposte spaziano tra un linearismo geometrico, riconducibile sotto alcuni aspetti ad un design contemporaneo, e forme plastiche essenziali e creative (come pietre e teste umane prive di organi sensoriali). L’atto artistico di Caterina Arcuri, in questo momento, non è concepito come un’occasione d’incontro-confronto collettivo, ma come pretesto positivo per scavare all’interno di se stessi, generando una contemplazione della forma data da una silenziosa modulazione geometrica che equilibra l’essere presenti in una società post-moderna sempre più offuscata, rumorosa e in continua trasformazione.
Luigi Polillo
Nata a Catanzaro, Caterina Arcuri si forma presso l’Accademia di Belle Arti della sua città, dove vive e lavora. Negli anni ’90 propone opere che accolgono molteplici linguaggi – dalla pittura, alla fotografia, dalla performance, al video – individuando quello che, di volta in volta, le consente di esprimersi in modo sempre peculiare. Nel 2014, in occasione della personale Fonti alla galleria TRAleVOLTE di Roma realizza, per la prima volta, una installazione in dialogo con l’architettura e il luogo, formula che pur divenendo, poi, la sua cifra espressiva, risulta in continua evoluzione. Il tempo – nel suo scorrere in avanti o all’indietro e nelle sue stratificazioni attraversabili – e la memoria risultano essere le principali direttrici della sua ricerca. “…per l’artista la memoria ha valore sia quando è rappresentabile con un pieno che con un vuoto. Nel video forse ci siamo dico che a volte, l’opera nasce sottraendole quello che il tempo le toglierebbe, quello che, se fosse un essere umano, perderebbe o lascerebbe lungo il suo cammino, tendendo all’essenzialità: sale della vita e dell’arte”. Vanta numerose partecipazioni in mostre ed eventi artistici in Italia e all’estero, sue opere sono presenti in musei, collezioni pubbliche e private. È docente di pittura all’Accademia di Belle Arti.