Articolo di Maria Dolores Chirico estratto dalla rivista Sineresi n. 5
Quando si parla di Brindisi di Montagna, piccolo paese lucano il cui nucleo originario sembra risalire al III secolo a. C., immediatamente il pensiero corre ad uno dei più grandi attrattori del nostro Mezzogiorno: “La storia bandita”, spettacolo multimediale che, tra verità e leggenda, narra la storia di Carmine Crocco, ambientandola nel suggestivo parco della Grancia, nello scenario naturale di un antico e fitto bosco.
Non a tutti, però, è noto che più ancora forse del cinespettacolo, la grande attrazione del piccolo borgo è da sempre l’antico castello medioevale che troneggia sulla rocca alle cui pendici si sviluppa l’abitato. A chi percorre la superstrada Basentana esso appare maestoso e fiero ai confini del cielo.
Il brindisino Andrea Pisani, nel suo libro “Dall’Albania a Brindisi di Montagna all’Italia”, edito intorno agli anni 30 del ‘900 e riprodotto in ristampa anastatica nel 1989, così ce lo descrive:
“Il castello è l’edifizio più antico. Le linee generali e la struttura compatta e massiccia dei muri di piccole pietre calcaree, l’assenza di stucchi, capitelli e cornici, la figura tozza e quadrangolare senza torrioni, cortine e merli, la forma delle finestre, piccole rispetto a tutta la mole, non accompagnate da verande o loggiate, con una torre isolata, che snella sfida dal vertice del picco il precipizio e i secoli: tutto ciò ricorda non una fortezza militare vera e propria, ma un’abitazione medioevale dei primi tempi, di ritiro e di raccoglimento.”
Si vorrebbe far risalire la costruzione al IV secolo dell’era volgare, ai tempi, cioè, di decadenza dell’impero romano; ma anche se debba riferirsi a qualche secolo dopo, lo stile e la maniera non si allontanerebbero di molto, e sarebbe più accettabile la prima ipotesi che ci rimanda col pensiero alle orde assalitrici di Arabi e Saraceni, che risalivano dal golfo di Taranto lungo la vallata del Basento, ed alla necessità di trovar riparo e difesa sulle creste dei monti e nel folto dei boschi: necessità di salvezza che determinò la formazione in luoghi inaccessibili di molti paesi lucani; mentre la minaccia, lo spavento e la fretta di certo non avrebbero potuto favorire lo studio e l’arte accurata di architettura. Doveva a quei tempi aver la rupe un aspetto assai più selvaggio, circondata sino in cima da fitte boscaglie, specialmente sul lato orientale.
E il casamento fu dall’epoca delle signorie, da Carlo Magno, un luogo di convegno dei coloni che, tenuti sparsi nei dintorni, s’incontravano in esso per compiere atti di omaggio, di sottomissione e per pagare decime e terraggiere. I Coronei, accingendosi alla fondazione del paese, trovarono nel castello una panetteria: un posto, cioè, di rifornimento di pane e di altri viveri.
La torretta, alta. m. 7,50 e altrettanto profonda, con una fossa scavata nel macigno, con due feritoie che alla fossa danno luce ed aria, dovè servire d’isolamento e di prigione, e spesso di patibolo per i depredatori, i ribelli e coloro che cadevano in disgrazia dei signori; e quelli che vi trovavano la morte del Conte Ugolino, venivano poi gettati dalla rupe in pasto alle volpi ed ai corvi: su ciò molto si sbizzarriva la fantasia popolare.
La torre fu dai duchi Anteriori convertita in una chiesetta e dedicata a S. Michele, il santo prediletto dei Longobardi, che lo avevano dipinto nei vessilli e inciso nelle monete: fu convertita forse per cancellare le torture e le ingiustizie: forse per dar sede all’Arcangelo nel punto più elevato del paese, più vicino al cielo, simboleggiando l’elevazione a Dio: come in ogni tempo sulle vette più eccelse dei monti è stata simboleggiata la divinità nell’erezione dei santuari”.
In realtà il primo documento attestante l’esistenza del castello brindisino, gli “Statuta Officiorum” emanati da Federico II, risale al 1240; da esso veniamo a conoscenza del fatto che il castrum Brundusii de Montana era uno dei numerosi castelli che costituivano la rete di controllo e il sistema difensivo su tutto il territorio che gli Altavilla avevano trasmesso in eredità all’imperatore.
Va sottolineato che la piccola fortezza, pur signoreggiando dalla sua altezza l’intera valle del Basento, si avvaleva della vicinanza del fiume ( all’epoca almeno in parte navigabile) e dei numerosi tratturi tracciati lungo le sue sponde, i quali erano fondamentali per mettere in comunicazione tra loro le aree interne della Basilicata e i castelli che le presiedevano lungo quelli che erano itinerari frequentati dalle truppe imperiali.
Nel corso dei secoli il castello ebbe sorti alterne più o meno fortunate; si sa oggi, in particolare grazie agli studi di F. Bruno e G. Magri, che non fu toccato, come si era creduto in passato, dal terremoto del 1456; tuttavia insieme al borgo esso cadde in abbandono fino a quando, nel 1536, il paese stesso ritrovò nuova vita grazie all’arrivo di una colonia di profughi provenienti dalla città albanese di Corona.
Più o meno contestualmente, però, il castello si trasformò da fortezza in residenza a disposizione dei vari feudatari, dai Sanseverino ai Fittipaldi, passando per altre nobili famiglie quali quelle dei D’Erario, degli Antinori e dei Battaglia. Appare notizia certa, invece, una distruzione del maniero conseguente al terremoto del 1694. In ogni caso, le diverse vicende che lo avevano coinvolto, avevano tuttavia consentito al castello di Brindisi di giungere ancora in un discreto stato di conservazione quasi fino ai giorni nostri.
Intorno agli anni 50 del ‘900, infatti, ancora si potevano ammirare nella loro interezza le strutture fondamentali e addirittura parte degli infissi. L’incuria e il vandalismo dell’ignoranza successivamente lo depredarono, facendolo diventare un rudere.
Oggi, però, il castello è rinato a nuova vita e di nuovo può essere ammirato in tutta la sua maestosa e rude bellezza. È quasi completamente stato portato a termine, infatti, un recente restauro dell’intera struttura, il quale ha recuperato e restituito alla fruizione i vari ambienti dell’antico castrum, mettendone in luce le stratificazioni risalenti ad epoche diverse.
Il borgo sembra oggi aver ritrovato il suo “signore”, tanto è affascinante la presenza vivificata del castello affacciato da un lato sulla rocca a picco e dall’altro sull’abitato ancora oggi sede di una attiva comunità. Completato del tutto il recupero anche della parte esterna (recupero che prevede la sistemazione dell’ampio piazzale nonché la costruzione di un anfiteatro), il castello di Brindisi di Montagna, come nelle intenzioni dell’amministrazione comunale è destinato a diventare location deputata ad ospitare eventi culturali ed artistici, nonché sede di una biblioteca specialistica.
Articolo di Maria Dolores Chirico
Quando si parla di Brindisi di Montagna, piccolo paese lucano il cui nucleo originario sembra risalire al III secolo a. C., immediatamente il pensiero corre ad uno dei più grandi attrattori del nostro Mezzogiorno: “La storia bandita”, spettacolo multimediale che, tra verità e leggenda, narra la storia di Carmine Crocco, ambientandola nel suggestivo parco della Grancia, nello scenario naturale di un antico e fitto bosco.
Non a tutti, però, è noto che più ancora forse del cinespettacolo, la grande attrazione del piccolo borgo è da sempre l’antico castello medioevale che troneggia sulla rocca alle cui pendici si sviluppa l’abitato. A chi percorre la superstrada Basentana esso appare maestoso e fiero ai confini del cielo.
Il brindisino Andrea Pisani, nel suo libro “Dall’Albania a Brindisi di Montagna all’Italia”, edito intorno agli anni 30 del ‘900 e riprodotto in ristampa anastatica nel 1989, così ce lo descrive:
“Il castello è l’edifizio più antico. Le linee generali e la struttura compatta e massiccia dei muri di piccole pietre calcaree, l’assenza di stucchi, capitelli e cornici, la figura tozza e quadrangolare senza torrioni, cortine e merli, la forma delle finestre, piccole rispetto a tutta la mole, non accompagnate da verande o loggiate, con una torre isolata, che snella sfida dal vertice del picco il precipizio e i secoli: tutto ciò ricorda non una fortezza militare vera e propria, ma un’abitazione medioevale dei primi tempi, di ritiro e di raccoglimento.”
Si vorrebbe far risalire la costruzione al IV secolo dell’era volgare, ai tempi, cioè, di decadenza dell’impero romano; ma anche se debba riferirsi a qualche secolo dopo, lo stile e la maniera non si allontanerebbero di molto, e sarebbe più accettabile la prima ipotesi che ci rimanda col pensiero alle orde assalitrici di Arabi e Saraceni, che risalivano dal golfo di Taranto lungo la vallata del Basento, ed alla necessità di trovar riparo e difesa sulle creste dei monti e nel folto dei boschi: necessità di salvezza che determinò la formazione in luoghi inaccessibili di molti paesi lucani; mentre la minaccia, lo spavento e la fretta di certo non avrebbero potuto favorire lo studio e l’arte accurata di architettura. Doveva a quei tempi aver la rupe un aspetto assai più selvaggio, circondata sino in cima da fitte boscaglie, specialmente sul lato orientale.
E il casamento fu dall’epoca delle signorie, da Carlo Magno, un luogo di convegno dei coloni che, tenuti sparsi nei dintorni, s’incontravano in esso per compiere atti di omaggio, di sottomissione e per pagare decime e terraggiere. I Coronei, accingendosi alla fondazione del paese, trovarono nel castello una panetteria: un posto, cioè, di rifornimento di pane e di altri viveri.
La torretta, alta. m. 7,50 e altrettanto profonda, con una fossa scavata nel macigno, con due feritoie che alla fossa danno luce ed aria, dovè servire d’isolamento e di prigione, e spesso di patibolo per i depredatori, i ribelli e coloro che cadevano in disgrazia dei signori; e quelli che vi trovavano la morte del Conte Ugolino, venivano poi gettati dalla rupe in pasto alle volpi ed ai corvi: su ciò molto si sbizzarriva la fantasia popolare.
La torre fu dai duchi Anteriori convertita in una chiesetta e dedicata a S. Michele, il santo prediletto dei Longobardi, che lo avevano dipinto nei vessilli e inciso nelle monete: fu convertita forse per cancellare le torture e le ingiustizie: forse per dar sede all’Arcangelo nel punto più elevato del paese, più vicino al cielo, simboleggiando l’elevazione a Dio: come in ogni tempo sulle vette più eccelse dei monti è stata simboleggiata la divinità nell’erezione dei santuari”.
In realtà il primo documento attestante l’esistenza del castello brindisino, gli “Statuta Officiorum” emanati da Federico II, risale al 1240; da esso veniamo a conoscenza del fatto che il castrum Brundusii de Montana era uno dei numerosi castelli che costituivano la rete di controllo e il sistema difensivo su tutto il territorio che gli Altavilla avevano trasmesso in eredità all’imperatore.
Va sottolineato che la piccola fortezza, pur signoreggiando dalla sua altezza l’intera valle del Basento, si avvaleva della vicinanza del fiume ( all’epoca almeno in parte navigabile) e dei numerosi tratturi tracciati lungo le sue sponde, i quali erano fondamentali per mettere in comunicazione tra loro le aree interne della Basilicata e i castelli che le presiedevano lungo quelli che erano itinerari frequentati dalle truppe imperiali.
Nel corso dei secoli il castello ebbe sorti alterne più o meno fortunate; si sa oggi, in particolare grazie agli studi di F. Bruno e G. Magri, che non fu toccato, come si era creduto in passato, dal terremoto del 1456; tuttavia insieme al borgo esso cadde in abbandono fino a quando, nel 1536, il paese stesso ritrovò nuova vita grazie all’arrivo di una colonia di profughi provenienti dalla città albanese di Corona.
Più o meno contestualmente, però, il castello si trasformò da fortezza in residenza a disposizione dei vari feudatari, dai Sanseverino ai Fittipaldi, passando per altre nobili famiglie quali quelle dei D’Erario, degli Antinori e dei Battaglia. Appare notizia certa, invece, una distruzione del maniero conseguente al terremoto del 1694. In ogni caso, le diverse vicende che lo avevano coinvolto, avevano tuttavia consentito al castello di Brindisi di giungere ancora in un discreto stato di conservazione quasi fino ai giorni nostri.
Intorno agli anni 50 del ‘900, infatti, ancora si potevano ammirare nella loro interezza le strutture fondamentali e addirittura parte degli infissi. L’incuria e il vandalismo dell’ignoranza successivamente lo depredarono, facendolo diventare un rudere.
Oggi, però, il castello è rinato a nuova vita e di nuovo può essere ammirato in tutta la sua maestosa e rude bellezza. È quasi completamente stato portato a termine, infatti, un recente restauro dell’intera struttura, il quale ha recuperato e restituito alla fruizione i vari ambienti dell’antico castrum, mettendone in luce le stratificazioni risalenti ad epoche diverse.
Il borgo sembra oggi aver ritrovato il suo “signore”, tanto è affascinante la presenza vivificata del castello affacciato da un lato sulla rocca a picco e dall’altro sull’abitato ancora oggi sede di una attiva comunità. Completato del tutto il recupero anche della parte esterna (recupero che prevede la sistemazione dell’ampio piazzale nonché la costruzione di un anfiteatro), il castello di Brindisi di Montagna, come nelle intenzioni dell’amministrazione comunale è destinato a diventare location deputata ad ospitare eventi culturali ed artistici, nonché sede di una biblioteca specialistica.