Articolo di Linda Cioni estratto dalla rivista Sineresi n.4
“I think my stance and my way of life is my most important art” (Ai Weiwei, 2013)
Firenze e il contemporaneo, un palazzo rinascimentale e una mostra: “Ai Weiwei. Libero”. Artista concettuale, performer, pittore, architetto, fotografo, documentarista e blogger, Ai Weiwei è però prima di tutto, un attivista e dissidente politico. Nel 2011 è stato definito “l’artista più influente del nostro tempo” dalla rivista “Art Review”.
Le sue opere attestano la sua battaglia contro la corruzione statale, la privazione dei diritti umani e la libertà di espressione in Cina. Spiato, pedinato, picchiato e privato dei diritti fondamentali, il 3 aprile 2011 venne sequestrato dal governo cinese e detenuto illegalmente in un luogo segreto per ottantun giorni, in una piccola cella areata solo per mezzo di un ventilatore, sotto la costante sorveglianza di due guardie.
Stati Uniti, Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia e numerose istituzioni internazionali, come la Tate di Londra o il Moma di New York si prodigarono per richiederne la liberazione. Dopo il rilascio, gli fu proibito di comunicare con la stampa e di scrivere articoli; le sue opere venivano allontanate dai musei e il suo nome eliminato da tutti i motori di ricerca. Al lungo periodo di detenzione è dedicata l’istallazione S.A.C.R.E.D (2011-2013), presentata alla 55° Biennale di Venezia, composta da diorami che riproducono la routine dei giorni vissuti in carcere.
Il titolo è un acronimo: “S” sta per “Supper” ovvero il pasto; “A” per “accusatori”; “C” per “Cleansing”; “R” per “Rituale”: il defecare; “E” per “Entropy”, evocativo del suono; “D” per “dubbio”. “Sacred” rimanda all’espressione latina “homo sacer” che riassume la condizione di Ai Weiwei in quegli ottantuno giorni: un uomo privato dei suoi diritti, un nemico pubblico costretto a scontare, in solitudine, la pena di sacertà.
Nato nel 1957 dal famoso poeta cinese Ai Quing e da Gao Ying, ad appena un anno di età fu costretto a lasciare Pechino, assieme alla famiglia: il padre era stato accusato di anticomunismo dal regime di Mao. Nelle province più estreme del nord-est della Cina, per anni Ai Quing fu costretto a svolgere umilianti ed estenuanti lavori forzati.
Remains (2015) è una riproduzione in porcellana (tecnica artistica cinese per eccellenza) di alcuni resti umani recuperati presso i campi di lavoro maoisti, da cui per fortuna Ai Quing uscì vivo. In quest’opera si celebrano i dissidenti politici che invece vi morirono nel completo anonimato.
Tornato a Pechino negli anni Settanta, Ai si diplomò all’Accademia del Cinema per poi dedicarsi successivamente alla pittura, aderendo al collettivo Stars, di cui fu anche uno dei fondatori, un gruppo di giovani artisti intolleranti al realismo di stampo socialista imposto dal governo cinese e aperto invece alle esperienze post-impressionistiche del tardo Ottocento europeo.
Nel febbraio del 1981 Weiwei partì alla volta di New York con trenta dollari in tasca; frequentò musei e gallerie e qui incontrò il suo padre spirituale, punto di partenza per tutta la sua arte: Marcel Duchamp. Hanging man, in perfetto stile Dada, è un omaggio al maestro. Si tratta di un vero e proprio “objet trouvè”: una gruccia sagomata in modo da disegnare il profilo dell’artista, riempita per metà da semi di girasole, alimento di sussistenza delle classi più povere in Cina.
Anche Straked (2012) è una chiara citazione dal primo ready-made duchampiano – la Ruota di Bicicletta (1913) – ma è possibile riconoscervi anche l’altra grande rivelazione newyorkese di Weiwei: Andy Wahrol. È un’istallazione composta da 950 biciclette di marca “Forever”, il tipico mezzo di trasporto della società cinese negli anni quaranta, in polemica con l’avvento della “modernità” e dell’inarrestabile e forzoso progresso imposto dalla Repubblica Popolare Cinese. Le biciclette impilate le une sulle altre, private dei pedali e delle catene, diventano il simbolo della non dinamicità e alludono alla privazione delle libertà individuali di Ai Weiwei al quale, sempre nel 2011, fu ritirato il passaporto, impedendogli di lasciare Pechino.
In questo senso va letta anche Refractions (2014), una monumentale scultura posta al centro del cortile di Palazzo Strozzi, composta da cucine solari tibetane e da teiere formanti un’ala di uccello che diventa il simbolo della libertà negata. L’ala è ancorata al suolo, incapace di librarsi in aria; sconta il prezzo della sua mole e diviene presenza oppressiva per lo spettatore, limitato nella fruizione dello spazio circostante e costretto a un percorso obbligato. L’istallazione intende così evocare la ristrettezza della cella in cui l’artista visse durante la detenzione.
A pochi mesi prima dell’arresto del 3 aprile risale invece un altro tentativo di smacco da parte delle autorità: la demolizione dello studio di Weiwei a Shanghai, nel distretto di Jiading, progettato dall’artista stesso; un evento evocato dall’opera Souvenir from Shanghai (2012) presente in mostra.
Nel 1993 una grave malattia colpì il padre e Ai dovette far ritorno in Cina. In questi anni approfondì l’altro grande tema della sua produzione: il rapporto con la grande tradizione culturale e i suoi saperi artigianali cinesi, condannati all’oblio dalla violenta modernizzazione del paese. Iniziò così a collezionare suppellettili di ogni genere, porcellane, mobili e frammenti di templi delle dinastie Ming e Qing, che sovente riutilizza e riattualizza nelle sue opere. È il caso di Map of China (2013), in pregiato “legno ferro” (tieli), proveniente dai templi della dinastia Qing distrutti senza pietà dal governo cinese per essere sostituiti da nuove costruzioni all’avanguardia.
Ai Weiwei è un artista in cui attivismo politico e arte si trasfondono. Un’intera sala di Strozzi è dedicata al terremoto che nel 2008 colpì la provincia dello Sichuan provocando la morte di circa settantamila persone, tra cui migliaia di giovani scolari, a seguito del collasso delle scuole fabbricate con materiali di bassa qualità. In Rebar and Case (2014) l’artista ha ricreato su piedistalli in legno, simili a piccoli feretri, assemblati secondo le tecniche tradizionali cinesi, dei “tondini” in marmo dalle forme contorte. Le barre in acciaio utilizzate in edilizia per rafforzare il calcestruzzo, non erano state inserite in numero sufficiente all’interno degli edifici incriminati, compromettendone la stabilità. Il fatto che siano stati riprodotti in marmo, investe gli oggetti di un significato ulteriore.
L’istallazione si rifà ad una precedente opera di Ai Weiwei, Straight (2008-2012), che si compone di centocinquanta tonnellate di tondini di ferro, recuperati sul luogo del dramma, raddrizzati manualmente dall’artista e accatastati l’uno sull’altro sì da configurare una gigantesca onda tellurica. Degno di nota è anche lo Snake Bag (2008), il lungo serpente strisciante costituito dalla ripetizione per trecentosessanta volte di un unico modulo: uno zaino bianco e grigio, allusione ai numerosi materiali scolastici ritrovati tra le macerie. Al tentativo di insabbiamento del caso da parte del governo cinese Weiwei rispose pubblicando sul suo blog e su Twitter con l’inchiesta Citizens’ Investigation, volta a redigere l’elenco dei nomi degli studenti rimasti uccisi.
Palazzo Strozzi, simbolo della cultura umanistica, diventa in definitiva sede d’elezione per Ai Weiwei: “moderno uomo del Rinascimento” e libero pensatore. La sua battaglia per i diritti umani non si è mai esaurita e continua ancora oggi a sostegno dei migranti in fuga dalla guerra, tema peraltro ripreso da Reframe (2016), i discussi gommoni rossi pensati ad hoc per la facciata del palazzo. Il 22 luglio 2015 il governo cinese depose le armi, revocando gli arresti a carico dell’artista e riconsegnandogli il passaporto.
Ai Weiwei aveva vinto, Ai Weiwei era di nuovo libero.